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Le 10 Frasi “Tossiche” che Rovinano la Vita delle Mamme, dei Figli e della Famiglia

di Federica Federico

06 Novembre 2014

 

frasi cattive

La vita di ciascuno di noi può essere descritta a parole;

le parole possono spiegare i sentimenti del cuore;

con le parole si può disegnare e mostrare la personalità umana;

la parola è uno dei più importanti canali di comunicazione ed interazione sociale;

le parole sono complesse come l’uomo e dell’uomo seguono le emozioni, così ci sono parole di amore o di odio, parole di gioia o di rabbia, parole di stima o di disprezzo.

Le parole sono l’aria che respiriamo dal primo istante della vita.

L’essere umano, sin da piccolissimo, è influenzato dalle parole, su di noi incidono le parole che pronunciamo, quelle che ci vengono dette e quelle che vorremmo dire o sentire.

Le parole sono la traccia della nostra esistenza e rappresentano il percorso sul quale ci muoviamo con i nostri affetti, interessi, obiettivi e sogni.

Quello che diciamo da adulti, il modo in cui ci esprimiamo e ci rapportiamo all’altro ci caratterizza ed identifica;

quello che facciamo ascoltare ai nostri bambini, la maniera in cui proponiamo loro di verbalizzare sentimenti ed emozioni, invece, li influenza e ne condiziona il processo di crescita e maturazione.

Per comprendere l’importanza estrema delle parole, ci basti pensare a quelle frasi (pronunciate o ascoltate) che, seppure non accompagnate da gesti eclatanti, sono state capaci di segnare in maniera determinante il percorso della nostra vita.

“Ti Amo”, quello detto la prima volta dal compagno;

“ti lascio”, quella ferita che significava solitudine, che ha il sapore della resa e segna la fine;

“sono orgoglioso\a di te” e all’opposto “mi hai deluso” …

le parole sono la vita che ci ha reso ciò che siamo e sono il futuro che aspetta di emergere dal nostro animo.

Le parole sono emozioni ma sono anche il risultato del rapporto ambiente – cuore – mente.

Un adulto che sia diventato genitore è chiamato a riconoscere l’importanza delle parole e a gestirle nel modo migliore per assicurare una sana crescita al figlio o ai figli e per garantire anche a se stesso un ambiente familiare equilibrato e felice.

Le parole possono determinare la nostra felicità, influendo sulle emozioni e sugli stati d’animo, possono ferire, innervosire, alterare oppure possono fortificare, calmare, sostenere e rassicurare chi le pronuncia e chi le ascolta e riceve.

Le parole negative sono “tossiche”, sono nuvolette nere che intossicano l’aria e l’ambiente avvelenando la casa e la famiglia.

Se si riconosce questo valore e questo potenziale alle parole si hanno più possibilità di imparare a misurare il proprio linguaggio educando i figli a fare altrettanto, tutto nel rispetto dei sentimenti altrui.

Pronunciare parole “tossiche” equivale ad avvelenare chi le riceve.

Il destinatario di frasi ed affermazioni dolorose, facilmente e per naturale reazione, adotterà un linguaggio e quindi un atteggiamento oppositivo, difensivo, rigido, provocatorio che andrà a discapito del confronto e della crescita.

Adoperare un linguaggio positivo o “rigenerante” equivale a stimolare l’interlocutore a vantaggio di una pacifica riflessione ed intesa.

La regola del linguaggio vale sempre, vale tanto per i bambini quanto per gli adulti.

Qui di seguito proponiamo, come spunto di riflessione, 10 frasi che una donna-mamma non dovrebbe mai dire a se stessa, al proprio figlio ed al compagno.

Le 10 frasi “tossiche” che rovinano la vita delle mamme, dei figli e della famiglia

  1. <<Non ce la faccio>>

  2. <<Sono una mamma sbagliata>>

  3. <<Mi aspettavo cose diverse dalla vita>>

  4. <<Gli altri bambini sono buoni, tu sei cattivo>>

  5. <<Ti mando in collegio>> o <<Prendo con me un altro bambino>>

  6. <<Non ti voglio più bene>>

  7. <<Tu non mi capisci>> o <<Da quando siamo diventati genitori non mi ami più>>

  8. <<Tu non collabori>>

  9. <<Occupati di altro che è meglio>> o <<Faccio io>>

  10. <<Voglio cambiare vita>>

Esaminiamo il valore negativo di queste parole dolorose e grigie.

Frasi da non rivolgere contro se stessi:

  • <<Non ce la faccio>>
  • <<Sono una mamma sbagliata>>
  • <<Mi aspettavo cose diverse dalla vita>>

Queste affermazioni (o frasi simili) sono, in ultima analisi, ferite che nessuna donna deve mai infliggere a se stessa: dentro di noi c’è un’anima, uno Jung o un’energia vitale (che dir si voglia), che merita di essere sostenuta e potenziata con l’atteggiamento positivo.

Non ce la faccio” o “Sono sbagliata” o “Volevo un’altra vita”, sono frasi negative e perdenti.

Chi le pronuncia cerca un nascondiglio, vuole giustificarsi perché nel momento stesso in cui lascia spazio a simili affermazioni sta già deponendo le armi, si sta già arrendendo, si sta già abbandonando allo sconforto.

Frasi siffatte pongono un limite insormontabile alla forza del cuore, arginano l’umano agire e chi permette a queste parole di entrare nella propria vita rischia di chiudersi a chiave dentro se stesso.

Colui che pietosamente si piega sui propri dolori e sulle proprie frustrazioni anziché rintracciare nella vita le emozioni positive innesca un meccanismo interiore per cui facilita l’emersione (prevalente o esclusiva) del negativo.

  • Con un po’ di fortuna ne verremo fuori”;
  • Con l’aiuto di Dio ce la possiamo fare”;
  • Insieme ci riusciremo”,

al contrario, sono frasi rigeneranti, positive e libere, capaci cioè di dare a chi le pronuncia ed a chi le riceve una rinnovata speranza.

Frasi da non rivolgere contro i bambini:

  • <<Gli altri bambini sono buoni, tu sei cattivo>>
  • <<Ti mando in collegio>> o <<Prendo con me un altro bambino >>
  • <<Non ti voglio più bene>>

Queste sono affermazioni da non “puntare” mai contro un bambino, sono pistole che mirano al cuore e possono ingenerare nei piccoli sconforto, rabbia e frustrazione.

I bambini sono tutti uguali non esiste il bambino buono o quello cattivo, esiste, a monte ed in radice, invece, la buona o la cattiva educazione che dipende sempre dal genitore. Il bambino non va messo in contrapposizione negativa con il mondo a lui va data l’opportunità di trarre dal mondo l’esempio positivo.

I tuoi compagni fanno i compiti, hanno capito che per imparare a leggere bisogna esercitarsi, sai quanti cartelli possono leggere per strada e quante cose possono scoprire!!! Tu non vorresti fare lo stesso?

Sicuramente le mamme e i papà dei bimbi che fanno i compiti saranno orgogliosi quando vanno a parlare con la maestra, io so che tu sei bravo e che puoi fare tutti i tuoi compiti rendendo felici noi e le maestre!”.

Se un bimbo non vuole fare i compiti, per esempio, l’approccio appena descritto rappresenta un modo dialogante per creare un confronto positivo tra il bambino “indisciplinato” e i compagni studiosi.

Se i genitori, al contrario, dicessero al bambino:

I tuoi amici sono bravi perché studiano e tu sei cattivo perché non lo fai”, con queste parole “tossiche”, certamente non offrirebbero al piccolo nessuno spunto positivo per orientare e correggere il suo comportamento!

Parole siffatte rischiano di mortificare il bambino massimizzando un suo eventuale contrasto col mondo e quindi aumentando il suo disagio.

Nessun bambino dovrebbe mai sentirsi rifiutato.

Tuo figlio, cara mamma, per crescere sereno deve avere stima di sé e se tu gli dimostri che Lui è unico, speciale ed insostituibile lo sproni a migliorare ed a crescere sulla strada degli ideali più saldi e puri.

Il bambino che si sente rifiutato, allontanato e che avverte una negazione dell’affetto sarà facilmente un bimbo spaventato, insicuro e timoroso.

Ricorda mamma: tu, che sei un adulto, sai bene che il collegio, l’uomo nero, la maestra cattiva non esistono e sai bene che non ti separeresti mai da tuo figlio né lo cambieresti mai con nessun altro bimbo al mondo …

… ma Lui, il bambino, non ha tutte le tue consapevolezze e intimamente soffre ogni qual volta teme che il tuo affetto verso di lui vacilli.

Per le stesse ragioni non dirgli mai: “Non ti voglio più bene”.

E’ sempre preferibile spiegare al piccolo che un determinato comportamento non è corretto, non è educato, non ti rende orgoglioso come genitore o non mette il bambino in buona luce.

Il bambino che si senta dire: “Non ti voglio più bene” percepisce un’interruzione affettiva violenta che lo priva del suo più saldo punto di riferimento, così, queste poche parole di rabbia, possono ingenerare nel figlio un profondo senso di vuoto.

Per di più rappresentano un esempio sbagliato: il bambino deve avvertire il bene, l’amore familiare e l’affetto come qualche cosa di radicato e stabile che non si deve spezzare con facilità né mai si deve rompere in modo definitivo o radicale. In questo senso si dice che i bimbi hanno sempre bisogno di continuità affettiva.

Frasi da non rivolgere contro il compagno:

  • <<Tu non mi capisci>> o <<Da quando siamo diventati genitori non mi ami più>>
  • <<Tu non collabori>>
  • <<Occupati di altro che è meglio>> o <<Faccio io>>

Il compagno (come del resto noi stesse) siamo persone, moderni uomini e donne impegnati e soggetti allo stress, alle emozioni, sensibili ai cambiamenti.

In quanto individui a volte nutriamo anche delle paure più o meno acute, può o meno forti e più o meno difficili da superare.

Negare l’amore, la collaborazione o l’affetto equivale a interrompere un percorso di comprensione e condivisione che va portato avanti insieme e in un regime di ampia e costante collaborazione anche affettiva (supporto emotivo).

Una donna che diventa madre, con l’arrivo del figlio, deve essere pronta a vedere il rapporto col marito cambiare: il bambino rappresenta un nuovo polo affettivo su cui gli interessi dei genitori devono convergere.

La collaborazione è uno degli elementi centrali e determinanti negli equilibri di coppia quando nasce un bambino e quando si forma un nucleo familiare.

Tal volta i papà vanno “forzati” alla collaborazione, capita che il figlio appaia al padre come un’avventura troppo complicata; capita che il papà possa faticare ad entrare in contatto col bambino ovvero accade non di rado che l’empatia figlio-padre non sia istintiva e spontanea.

La donna, per sua stessa natura, gode di un’innata spinta alla maternità, spinta che normalmente funziona come una forza di propulsione capace di sostenere la mamma per tutto il periodo della cura intensiva ovvero quando (immediatamente dopo la nascita e per i primi mesi) il neonato ha bisogno di costanti attenzioni.

Mamma, impara sin da subito a ritagliarti degli spazi per te stessa;

lascia il bambino da solo col papà anche per pochi minuti, per una breve passeggiata, per concederti una seduta di bellezza a una messa in piega ai capelli oppure un caffè con un’amica.

Affidare ai padri dei compiti specifici significa coinvolgerli nella cura del bambino e favorire la costituzione di un graduale e positivo rapporto padre-figlio.

Non dite mai al papà <<Occupati di altro che è meglio>> o <<Faccio io>>, queste frasi sono guanti di sfida lanciati per sottolineare una insoddisfazione che nella coppia scava solo le distanze.

Se un papà sbaglia, il che può avvenire per inesperienza o per quella mancanza d’istinto “materno” di cui l’uomo “soffre”, la mamma ha il compito di “correggerlo” col sorriso e serenamente.

<<Facciamolo insieme>> è questa la chiave per la collaborazione e la più positiva frase che si possa pronunciare quando si è famiglia e quando ci sono novità, difficoltà, imprevisti da affrontare e fronteggiare.

Anche quando tutto sembra grigio e le forze quasi vengono meno, bisogna reagire e non arrendersi mai.

<<Voglio cambiare vita>> è una frase da non pronunciare mai, è una frase vuota, completamente priva di qualsivoglia obiettivo:

la vita non si cambia a parole si affronta con l’agire e l’agire pretende sogni, traguardi e pianificazioni.

<<Facciamo questa cosa per migliorare questa situazione>>, è così che si cresce serenamente e che serenamente si crescono ed educano i bambini. Ci si propone un fine ultimo e si organizza sulla base dello scopo un’azione, la felicità non starà tanto nel risultato quanto nell’impegno profuso.



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