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Yara Gambirasio, 4 Anni Dopo la Morte: 6 Misteri “Contro” Massimo Giuseppe Bossetti

di Federica Federico

26 Novembre 2014

 

yara

Il 26 novembre del 2010 Yara moriva sola, violata, spaventata, ferita e abbandonata nel campo di Chignolo d’Isola, a 10km appena da casa Gambirasio ovvero da Brembate Sopra, dall’affetto dei suoi genitori e dall’abbraccio della mamma.

Oggi la famiglia di Yara Gambirasio attende ancora giustizia e sono passati ben 4 anni.

A 4 anni di distanza in carcere c’è Ignoto 1, il presunto killer della giovane ginnasta. L’indiziato unico dell’omicidio ha un nome: Massimo Giuseppe Bossetti; a lui gli investigatori sono arrivati dopo un’indagine lunghissima e complessa che per la prima volta nella storia della cronaca italiana ha reso protagonista del percorso investigativo il DNA.

Secondo la ricostruzione investigativa, che il 16 giugno scorso è culminata nell’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti, il killer avrebbe ucciso Yara dopo un tentativo di violenza:

– l’omicidio si sarebbe consumato lì nel campo di Chignolo d’Isola;

– Ignoto 1 avrebbe privato Yara della vita ferendola con un cutter, un coltellino modello taglierino multiuso (tipicamente utilizzato dai carpentieri) e lasciandola agonizzante al freddo;

– l’omicidio sarebbe conseguito ad un tentativo di abuso intimo.

Pare del tutto inequivocabile che l’assassino volesse abusare della piccola ed infatti, prima di ferirla ed abbandonarla morente, le avrebbe sollevato il giubbino, abbassato i pantaloni e tagliato gli indumenti intimi.

– Proprio tagliando gli slip, nella porzione laterale sul fianco della giovane, il killer si sarebbe ferito, così, sanguinando, avrebbe lasciato sul cadavere della povera vittima la sua firma: il DNA.

Quel DNA contenuto nelle tracce di sangue repertate sul cadavere di Yara ed oggetto di tutta l’indagine scientifica che ha condotto prima ad Ester Arzuffi e poi a suo figlio Massimo.

La presenza di Massimo Giuseppe Bossetti è, secondo l’impianto accusatorio, “fissata” sulla scena del crimine, mentre Yara veniva abusata ed uccisa, proprio dalle tracce di sangue che l’uomo avrebbe lasciato sul corpo della vittima.

Bossetti si dichiara innocente e il suo collegio difensivo avanza sette dubbi sulla ricostruzione investigativa.

Evidentemente i presupposti della ricostruzione dell’omicidio Gambirasio sono nella tesi della difesa assai diversi rispetto a quelli su cui si incardina l’accusa, ma le ipotesi difensive possono armonizzarsi con le risultanze peritali?

Cosa contesta, rispetto alla ricostruzione dell’accusa, il collegio difensivo di Bossetti?

Esaminiamo, punto per punto, le contestazioni che gli avvocati di Bossetti vorranno discutere in aula, lo facciamo seguendo le indiscrezioni giornalistiche riportate dal settimanale “Giallo” nel n°47 del 26 novembre 2014. Sarebbero 6 i punti chiave contestati dalla difesa di Massimo Giuseppe.

1 Il luogo del delitto – stando alla ricostruzione operata dalla difesa Yara non sarebbe morta a Chignolo d’Isola.

Il collegio difensivo di Bosetti sosterebbe che Yara sarebbe morta in un luogo sconosciuto e diverso da quello del rinvenimento, il cadavere della giovane sarebbe stato trasportato nel campo dove fu rinvenuto solo dopo l’omicidio.

Yara però è morta stringendo tra le mani la terra di Chignolo d’Isola, lo ha dimostrato il suo cadavere:

al momento del ritrovamento del corpo il pugno di Yara, fissato dal rigor mortis, stringeva il terreno del campo e tra le sue dita era cresciuta dell’erba.

Questo atteggiamento della mano della giovane determina con certezza che la morte è avvenuta proprio nel campo e non altrove perché è scientificamente improbabile che l’erba sia cresciuta spontaneamente tra le dita di Yara.

L’autopsia chiarisce che Yara ferita e tramortita è caduta in terra morente e lì è stata abbandonata, sulla terra del campo di Chignolo la sua vita si è spenta per le ferite riportate e per il freddo.

2 La difesa di Bossetti contesterebbe la morte per ipotermia:

per gli avvocati difensori la posizione del cadavere di Yara sarebbe incompatibile con una morte determinata dal gelo, ciò perché chi sta soffrendo il freddo mentre muore tende a rannicchiarsi mentre Yara era distesa.

Ebbene il freddo, nel caso di Yara, è stato solo una concausa intervenuta quando la giovane, già ferita a morte, giaceva priva di sensi sul terreno.

Yara morendo anche per il freddo, quando è stata abbandonata al suo destino aveva completamente perso i sensi, ogni cognizione e qualsivoglia capacità vitale: la giovane, cioè, era in terra e il suo corpo morente non rispondeva già a nessuno stimolo.

3 La difesa di Bossetti contesterebbe anche l’ora della morte.

Tale contestazione dovrebbe però spiegare come mai nello stomaco della giovane fu trovato il pranzo che la famiglia Gambirasio aveva consumato lo stesso giorno 26 novebre 2010, ovvero poco prima della scomparsa di Yara.

Scientificamente l’esame autoptico, attraverso l’analisi del contenuto dello stomaco della piccola vittima, ha stabilito con chiara evidenza che Yara è morta la sera stessa del 26 novembre poco dopo essere uscita dalla palestra dove aveva riconsegnato alla sua istruttrice un registratore.

L’ora del decesso così fissata, è certa e comprovata dal fatto che la morte ha bloccato la digestione della ginnasta.

4 Sempre stando alle indiscrezioni riportate dal succitato settimanale, secondo la difesa di Bossetti, per le modalità della morte e per il fatto stesso che la giovane sarebbe stata rapita o comunque indotta a seguire il suo assassino, l’omicidio non potrebbe essere opera di un solo malvivente ma dovrebbe e potrebbe essere stato ordito e messo in atto da più delinquenti.

Se pure gli assalitori di Yara fossero “una banda di male intenzionati” ciò, comunque, non esclude che Bossetti fosse uno dei killer.

Del resto non è nuova l’ipotesi della complicità che, però, di per sé non spiega né cancella e nemmeno mette in crisi la prova del DNA che lega sempre Massimo Giuseppe alla morte di Yara.

5 Continuando a seguire le stesse indiscrezioni giornalistiche, la difesa di Bossetti metterebbe in discussione anche alcuni segni rinvenuti sul corpo di Yara e, così facendo, indirettamente metterebbe in discussione l’arma del delitto:

Yara riportava sui polsi delle ferite che il referto autoptico ha classificato come tagli, per l’ampiezza delle lesioni e tenuto conto dell’esame della cute tali tagli sono risultati compatibili con l’arma del delitto identificata nel cutter.

Se trovassero conferma le indiscrezioni pubblicate dal settimanale “Giallo”, la difesa ricondurrebbe tali segni sui polsi di Yara non a dei tagli ma a del filo di ferro che il killer o i killer avrebbero usato per bloccare la giovane.

6 La difesa metterebbe, altresì, in discussione le modalità dell’aggressione dubitando del fatto che solo lo slip di Yara sarebbe stato tagliato mentre il reggiseno sarebbe stato sbottonato e gli altri indumenti non presenterebbero tagli.

E’ facile capire, invece, che il coltello utilizzato per spaventare la vittima e indurla ad una “accettazione” dell’aggressione possa essere diventato, nella furente e insana eccitazione del killer, uno strumento per accelerare la violenza, per arrivare allo scoop ultimo.

L’autopsia avrebbe dimostrato che il killer, dopo aver scoperto il corpo della giovane, ha tagliato gli slip di Yara partendo dal basso e procedendo verso l’alto e così avrebbe anche lesionato e ferito il corpo della vittima.

Ovvio è che in un tentativo di violenza tendenzialmente l’aggressore solleva gli indumenti superiori e agisce con più foga su quelli intimi, che emotivamente (in un impiego di emozioni malate e deviate) rappresentano l’ostacolo ultimo alla consumazione del delitto.

 



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