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Il grano Khorasan, dall’antica Persia alle nostre tavole

di Alessandra Albanese

02 Settembre 2015

 

Da qualche anno a questa parte nei panifici del nostro paese c’è un tipo di pane che ha guadagnato un suo spazio, ed è sempre più richiesto: quello di kamut.

Kamut in effetti è un marchio registrato dal primo coltivatore che lo riportò agli antichi fasti, Bob Quinn, dottore in patologia vegetale e agricoltore biologico, che per primo intuì le proprietà nutritive di un tipo di cereale antico e ne cominciò la produzione in quella che oggi è un’azienda statunitense ben avviata che esporta in tutto il mondo.

Il cereale in questione è una particolare varietà non incrociata né ibridata (come è invece avvenuto con il Triticum aestivum o Siligo, o Triticum vulgare, la specie di frumento utilizzato per la panificazione) dal nome di Triticum turanicum, frumento orientale o grano Khorasan.

Questa coltivazione venne descritta per la prima volta nel 1921, e prese il nome dalla zona dell’Iran nella quale cresceva.

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Dal 1990 questo grano è registrato all’USDA (U.S. Department of Agriculture) e dopo le prime iniziali vendite locali, con il nome “grano del faraone Tuth” (Kamut è un geroglifico che significa “grano”), il Kamut ha preso il largo, ed oggi è distribuito in moltissimi paesi.

In Italia il kamut è disponibile dal 1991 (quello registrato), e da una decina d’anni occupa un posto d’onore negli scaffali dedicati all’agricoltura biologica.

Noi oggi qui vorremmo parlare non del kamut inteso come prodotto a marchio registrato, ma del Khorasan, grano dalle origini antichissime.

Il suo nome deriva dalla antica denominazione del grano che secondo gli egittologi significa “anima della terra”, antenato del grano duro, che raggiunge un’altezza superiore a quella del frumento e rende anche senza impiego di fertilizzanti.

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Ha un sapore più “grezzo” e rende gli impasti più friabili e la sua farina, usata regolarmente ha effetti benefici sull’organismo.

Alcuni miti sul kamut sono però da sfatare.

Vediamo alcune verità e alcune “leggende metropolitane” sull’uso del grano Khorasan.

– Il Khorasan è simile nell’aspetto al grano duro, ma contiene il 20-40 % in più di proteine, grassi, vitamine e minerali.

– Studi scientifici hanno appurato che una dieta a base di Khorasan riduce i rischi di malattie cardiovascolari e di sindrome da colon irritabile.

– A differenza del grano moderno diminuisce la sensazione di gonfiore, la stanchezza e la distensione addominale.

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– E’ un cereale ricco di selenio, zinco e magnesio, oltre ad avere un più alto contenuto proteico rispetto al grano classicamente utilizzato per la produzione di prodotti da forno.

– Ha un’elevata presenza di vitamina E e di carotenoidi.

– In Abruzzo, Basilicata e Campania si produce una qualità di grano molto simile al Khorasan, chiamata Saragolla, anch’essa biologica e del tutto affine al kamut.

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Per quel che riguarda invece i falsi miti, bisogna considerare che il kamut nella fattispecie, essendo un prodotto a marchio registrato, ha un costo molto più alto rispetto ai prodotti con frumento (anche il 200% in più), e i suoi costi di trasporto, anche in termini di inquinamento ambientale, non lo rendono ideale da consumare qui in italia, dall’altra parte del mondo rispetto al posto nel quale cresce.

Inoltre il Kamut, così come il Khorasan, contiene glutine, per cui anche questa coltivazione non è adatta ai celiaci.

Insomma, la prossima volta che entrerete al supermercato o dal panettiere, chiedete prodotti a base di Khorasan o ancor meglio Saragolla, avrete fatto una esperienza di gusto e di benessere.



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