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Educare i bambini: capricci e regole, la pedagogista

di Dott.ssa Rita Moré

17 Giugno 2010

Molto spesso di fronte a un bambino abitualmente capriccioso i genitori, pur tentandole tutte, appaiono disperati e impotenti.

Quasi sempre mamma e papà si convincono che il loro bambino ha un temperamento difficile, mentre tutti pensano che è solo viziato.

Ma cos’è e da dove si origina il capriccio?

Se alcuni bambini sono particolarmente capricciosi è lecito parlare di temperamento?

Per soddisfare queste domande proviamo a guardare alla relazione genitore-bambino centrando particolarmente la nostra attenzione proprio sul bambino.

Sappiamo che, nei primi 5-6 anni di vita, il rapporto del genitore con il suo bambino, pur mutando in virtù dei cambiamenti che sopravvengono nel bambino, è fondamentale per lo sviluppo psicofisico di quest’ultimo. Sappiamo che tutta la vita affettiva e intellettiva futura del bambino si alimenta di tale rapporto. Ma sappiamo, anche, che il genitore deve educare e per farlo deve dare regole.

Di solito le prime richieste esplicite da parte del genitore compaiono dopo il primo anno, quando il bambino sta acquisendo una progressiva indipendenza di movimento. La mamma e il papà con i loro interventi cercano di aiutare il bambino a diventare autosufficiente, trovare, cioè, il modo di superare gli ostacoli, risolvere problemi, relazionarsi agli altri. Perciò più che proteggere, in questa fase, guidano il bambino ponendogli condizioni e proponendogli modelli cui conformarsi. Il bambino è capace di adeguarsi alle richieste se esse sono in accordo con le sue attitudini e se sono ben dosate sulla sua maturazione. Pensiamo ad esempio a comportamenti molto semplici come il lavarsi le mani prima di mangiare o giocare in silenzio quando il fratellino o la sorellina dorme. Sono comportamenti dettati dagli adulti che il bambino mette in atto dapprima per semplice obbedienza, poi li fa suoi, perché da lui controllabili, e non ha più bisogno che gli siano imposti dall’esterno.

I conflitti sorgono quando le cose procedono diversamente. Nel caso in cui, ad esempio, viene imposto il controllo degli sfinteri molto prima dei 2 anni, il compito può essere per il bambino superiore alle sue forze, egli non si sente capace di controllare quel comportamento e dopo poco può riprendere a sporcarsi o addirittura mostrare una vera e propria idiosincrasia per l’evacuazione. Così pure capita spesso che bambini tra i 2-3 anni rifiutino il cibo o non accettino le regole date dai genitori. In realtà a quest’età la relazione genitore-bambino è in una fase critica, perché il bambino avverte, anche se inconsapevolmente, che il comportamento dei genitori si è spostato dalle gratificazioni alle richieste e tenta così di resistere al cambiamento. E’ un processo di per sé normale, cui gli adulti devono saper rispondere pazientando e preoccupandosi di offrire al bambino serenità e affetto più che pressarlo con richieste ulteriori. Il clima familiare e l’educazione incidono molto sulle risposte del bambino a certi comportamenti degli adulti. Egli può accettare e rispondere alle richieste oppure può rifiutarle e difendersi. Di qui lo scontro diretto, il capriccio, ma anche, in casi più particolari, l’apatia o la regressione.

Nella crescita, se non si vuole intimorire il bambino, occorre rispettare la gradualità delle richieste e non dimenticare mai che il bambino ha sempre bisogno di sentirsi protetto e accettato, rassicurato e amato, incoraggiato e approvato.

Se l’adulto, nel guidare il bambino verso l’autosufficienza, lo dimentica o lo concede in minor misura allora il bambino reagisce e, per ottenere di nuovo attenzione e consenso, mette in atto tutta una serie di comportamenti. Il capriccio ripetuto è solo uno di questi. C’è di solito nel comportamento dell’adulto una pretesa: il bambino deve accettare le regole perché vengono dal genitore. Questo modo di pensare del genitore non tiene conto delle capacità di comprensione del bambino, anzi le mortifica. Al bambino va, invece, spiegato esattamente ogni comportamento senza ambiguità ed evitando informazioni discordanti. Le regole dettate dall’adulto devono avere un senso, devono essere adeguate alle situazioni e l’adesione del bambino deve venire dagli obiettivi che esse consentono di raggiungere. In questo modo il bambino rafforza la fiducia verso l’adulto e acquista sicurezza in se stesso.

La relazione vissuta dall’adulto solo come dominanza implica che il bambino più che a fare, ad agire impara ciò che non può fare, non può dire. Nel rapporto di dominanza l’adulto rimprovera, recrimina e non lascia spazio ai bisogni del bambino che finisce per sentirsi insicuro e inadeguato. Se, in una tale situazione, il bambino vuole seguire i suoi impulsi, dare, cioè, spazio ai suoi bisogni deve disobbedire. E di fronte a questo comportamento del bambino di solito l’adulto a relazione dominante risponde punendo, convinto di orientare più rapidamente e drasticamente il bambino verso comportamenti ritenuti positivi. Se la reazione del bambino non è di accettazione della punizione, scatta ancora la ribellione e insorgono i capricci perché è intervenuto uno stato di tensione: da un lato c’è un’esigenza e dall’altro una proibizione. L’adulto avrebbe un buon motivo per chiedersi se quei comportamenti non siano una reazione a suoi precedenti interventi, invece, più spesso è pronto ad addossare al bambino tutta la responsabilità del suo comportamento ritenendo il capriccio come bizzarria immotivata del bambino, dovuta ad una disposizione del suo temperamento. E’ vero, può essere ipotizzabile che dei bambini siano più inclini di altri al capriccio. Alcuni più di altri, infatti, sopportano meno bene la stanchezza fisica o la tensione ambientale. Tuttavia questo limite può scatenare capricci occasionali, non quelli abituali, quelli che insorgono alla minima contrarietà. Per spiegare il comportamento capriccioso abbiamo messo in discussione la relazione a dominanza dell’adulto. Un adulto che proibisce senza dare spiegazioni, che fa promesse che non può o non vuole mantenere, che spaventa il bambino con i suoi comportamenti, che richiede al bambino comportamenti per cui non è pronto provoca tensione nel bambino che vede ridotto il suo spazio di sicurezza e deve difendersi. Disobbedisce – viene punito – si ribella – fa capricci. Se la situazione, lungi dall’essere occasionale, rappresenta il clima dell’ambiente in cui vive il bambino allora questi si abitua a reagire secondo le modalità sopra descritte e quel che è peggio le estende anche a situazioni non direttamente conflittuali e il capriccio diventa il muro che si frappone nella relazione adulto-bambino con gravi ripercussioni nella socialità futura.

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