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Bambino dimenticato in auto al sole, Jacopo muore ad 11 mesi

di Federica Federico

28 Maggio 2011

Jacopo, 11 mesi, ieri mattina il papà avrebbe dovuto accompagnarlo al nido.

Così, come tanti papà fanno prima di andare a lavoro, l’uomo ha caricato il piccolo in macchina con sé accomodandolo sul sediolino posteriore ed è partito. La mente immagina una banale scena familiare, ricca degli obiettivi comuni a tutti coloro che hanno figli: nido, lavoro … vita normale e semplice. Ma nell’esistenza “ordinaria” di Jacopo e dei suoi genitori qualche cosa si è rotto: il bimbo non è stato condotto a scuola, il padre lo ha dimenticato in auto, ha scordato il fatto che nel sediolino posteriore della sua vettura sedeva il figlio. L’uomo distrattamente ha trascurato di portare il piccolo al nido e si è, invece, regolarmente recato a lavoro.

Jacopo, è rimasto solo, intrappolato sul sediolino posteriore dell’auto del padre, lì al caldo ha avuto un malore ed è morto.

Questa assurda tragedia si è consumata nella zona della Darsena di Passignano sul Trasimeno, in provincia di Perugia. Il bambino è deceduto nel piazzale antistante il club velico dove lavora il padre. La morte di Jacopo è stata determinata da un arresto cardiaco causato dal caldo insopportabile a cui il piccolo è stato costretto nell’auto. Infatti, mentre il bimbo sedeva da solo dimenticato sul sedile posteriore della vettura paterna, fuori la temperatura sfiorava i 30 gradi.

L’autorità giudiziari ha così ricostruito i fatti: il padre avrebbe dovuto condurre suo figlio a scuola, ma lo ha scordato e si è recato normalmente a lavorare. Quindi il bambino, abbandonato sul sedile posteriore della vettura, è rimasto solo, intrappolato al caldo dalle 9.20 alle 12.20.

Solo alle 12,20 il padre, trascorse tre ore e concluso il lavoro, riprendendo la vettura per rientrare a casa, si sarebbe accorto del figlio dimenticato ed in preda al malore.

L’intervento dei sanitari del 118 non è valso a salvare la vita del piccolo ”sventurato” che è morto.

Questa la notizia.

Apprendendo i fatti il cuore mi è esploso, mille frammenti di rabbia sono schizzati nel mio cervello di madre. << Non è possibile che sia accaduto ancora. E soprattutto non è ammissibile che questi fatti eccezionali ed eclatanti si susseguano a così breve distanza. Cosa ci accade, in che direzione vanno le nostre menti?>>

Solo pochi giorni fa abbiamo pianto la morte di una bambina: Elena. La piccola aveva solo 22 mesi ed il decesso è avvenuto per la stessa assurda ragione per cui è morto Jacopo: il padre ha dimenticato la sua creatura in auto, non ha fatto tappa al nido, rimuovendo la presenza della piccola sul sedile posteriore, è andato al lavoro. Nulla ha potuto salvare la bimba, rimasta da sola intappolata nella vettura al caldo per molte ore.

Abbiamo urlato contro l’uomo reo di avere “ucciso” la sua bambina per una “assenza mentale”, una distrazione fatale.

Oggi di cosa stiamo parlando?

Da mamma credo che questi avvenimenti tragici dovrebbero scavare dei solchi nell’animo dei genitori. Ma a questo punto il condizionale è d’obbligo, non a caso sottolineo dovrebbero.

Tutti avranno sentito parlare di Elena, la piccola morta dimenticata in auto. E chiunque, da genitore, avrebbe dovuto guardare con occhi diversi i seggiolini della propria vettura, vuoti o pieni. Ogni madre ed ogni padre, forse, avrebbe dovuto osservare la propria fortuna più da vicino. Qual è la nostra fortuna di genitori? Non credo che ci sia neanche bisogno di domandarselo: i figli sono la nostra fortuna, la gioia e la risorsa delle nostre esistenze.

Dinnanzi al dramma di Elena, ognuno di noi avrebbe dovuto guardare ai propri figli piangendo, in cuor suo, per quella creatura dimenticata e morta.

Cosa intendo dire? Voglio dire che è inaccettabile e ripugnante che una cosa simile atrocità si ripeta ad una distanza così irragionevolmente breve. Insomma un dramma che ha grosso eco sui media non è una notizia di gossip, è una fotografia del malessere sociale che dovrebbe – torno non a caso a dire dovrebbe – imporre ad ogni genitore una riflessione su se stesso e sul proprio ruolo. E tale riflessione dovrebbe indurre ad un accresciuta attenzione? Ancora dico dovrebbe ed al condizionale aggiungo un punto di domanda. Credo che questo divenga un legittimo interrogativo. Un bimbo morto in auto, dimenticato da un genitore distratto, deovrebbe o meno farci riflettere sulle nostre vite?

In particolare mi pongo un quesito importante ed enorme, me lo pongo allo stesso modo in cui me lo sono “imposto” ragionando su Elena: è giusto parlare di fatalità? Persino i telegiornali, oltre ad un certo pubblico di mamme nei forum e sui social, parlano di incidente, di fatale distrazione che a tutti può capitare. Sono spiacente ma io non mi presto a questa esemplificazione ingiusta!

Intanto allontano da me l’idea che la mia mente possa “mancare a se stessa” sino al punto da dimenticarmi dei miei figli, laddove una siffatta dimenticanza è chiaramente cosa grave che, per parte mia, ritengo estrema e intimamente correlata a malesseri profondi. In secondo luogo prendo sentitamente le distanze da questa tendenza a “normalizzare” un omicidio o comunque a differenziarlo da una uccisione violenta o generata da un diverso atto. Ritengo che un omicidio, qualunque sia la sua matrice, si riconosca sempre dal risultato finale: l’epilogo fatale è sempre la morte. E se il decesso di un figlio piccolo è causato dal genitore dietro si celano sempre sofferenze profonde, più o meno antiche, spesso nascoste o negate. Dunque io rifiuto completamente e decisamente l’uso del termine fatalità. Tanto più che dibattere sui casi fatali della vita non serve a far luce sulle ragioni degli avvenimenti nè a rintracciarne le cause.

Questa mia posizione estrema e forte nasce dalla considerazione della vita dei bambini come “fragile dono di cui i genitori sono i primi depositari ed i massimi responsabili”.

Un genitore non può distrarsi? Certamente si, ma assolutamente non deve farlo quando è in gioco la vita del proprio bambino.

E laddove il genitore, adulto e responsabile, si accorga che qualche cosa nella sua vita si sta spezzando deve intervenire, deve farlo per se stesso ma anche per il benessere dei bambini e della famiglia.

Oggi esiste una devastante tendenza a vivere nella bellezza e nella perfezione, dando un immagine di sé conforme alle migliori aspettative sociali. Ci si dimentica sistematicamente del fatto che la nostra natura di uomini è fallibile, siamo fragili e non sempre capaci di rispondere le aspettative che noi stessi ci “imponiamo”. Non accettiamo freni, non ammettiamo che le nostre vite possano “rallentarsi”, variare le direzioni programmate, modificarsi per avvenimenti imprevisti.

I media ci offrono dei modelli patinati, delle fotografie dorate di esistenze perfette, noi crediamo che siano vere o possibili e proviamo ad uniformarci ad essi. Il risultato è una affannosa corsa verso il denaro e il successo. L’uno e l’altro non sono che effimeri simboli di una modernità disorientata. Alla fine si perdono di vista i valori reali e profondi della vita i soli capaci di generare benessere.

Fermiamoci dunque a riflettere, impariamo a comprendere ed ammettere le nostre debolezze, indaghiamo sui risvolti dell’anima che interessano il vivere quotidiano ed accettiamo il fatto straordinario che la vita abbia molte direzioni diverse da quelle che ci proponiamo. Ma soprattutto godiamo della bellezza dei figli, consideriamoli valori aggiunti alla nostra esistenza e non confondiamo la perfezione con la gioia … la felicità sta massimamente nella capacità di affrontare e superare in qualche modo i nostri difetti.



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