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Appello di Piera Maggio: “Date pace a questa famiglia”

di Federica Federico

16 Aprile 2021

Date voce a questa bambina e pace a questa famiglia”, è questo in sostanza l’ appello di Piera Maggio che si rivolge a “quelle persone che sanno” chiedendo tutta la verità, in ogni forma possibile, anche nell’anonimato.

 

Dopo 17 anni, Denise merita di essere aiutata, ma, contemporaneamente, gli italiani tutti (che ormai percepiscono questa bimba come figlia della collettività) meritano il conforto dello Stato.

C’è, ancora oggi, una bimba scomparsa e sta di fatto che questa sparizione è stata cristallizzata in atti processuali e faldoni giudiziari non addivenuti a nessuna certezza. Dinnanzi alla sparizione di un minore, l’ incertezza è inconcepibile.

 

Grazie al clamore mosso dalla pista russa, conclusasi con l’ennesima smentita, stiamo assistendo in queste settimane all’emersione di nuove evidenze intorno al caso Pipitone. Ed è da qui che nasce l’ appello di Piera Maggio alla verità.

 

L' appello di Piera Maggio.

L’ appello di Piera Maggio. Riccardo Squillantini ©LaPresse

Le indagini sulla scomparsa di Denise Pipitone vanno riaperte, lo vuole il popolo, lo vuole una mamma, lo vuole il senso stesso di giustizia.

 

Da sempre Piera Maggio, Piero Pulizzi, il papà biologico di Denise, e l’avvocato Giacomo Frazzitta hanno sostenuto che tutte le evidenze processuali fanno credere che il caso della piccola Pipitone altro non sia che un rapimento: a Denise viva riportano tutti gli atti delle indagini e del processo.

Lo stesso magistrato Angioni (recentemente ospite di “Ore 14”, trasmissione di approfondimento di Rai 2), in carica sul caso di Denis tra il 2004 e il 2005, si esprime in questo senso sottolineando che il caso Pipitone appare come una vendetta. Lo scopo non sarebbe mai stato uccidere la bambina, piuttosto chi ha agito ha voluto sottrarre a Piera Maggio l’affetto di sua figlia.

 

E allora dov’è Denise? L’ appello di Piera Maggio, dopo 17 lunghi anni, punta alla coscienza e al cuore.

 

In quegli anni la mamma di Denise aveva subito numerose vessazioni; un incendio, la cui responsabilità è rimasta ignota, aveva colpito l’erboristeria della sorella; il papà era stato raggiunto, a sua volta, da intimidazioni: qualcuno gli aveva riferito l’intenzione di “farla pagare a sua figlia” e le ruote dell’auto di Piera erano state sventrate.

 

Piera Maggio si è semplicemente innamorata del papà di Denise e ha semplicemente messo al mondo la figlia dell’uomo che oggi è suo marito. Insieme combattono da 17 anni per il ritrovamento della loro creatura, del frutto del loro amore. La coesione di questa coppia e la loro compostezza parlano da sole.

 

L’amore nella vita è anche questo e non ci dovrebbe essere spazio per vendette così atroci, men che meno i bambini non dovrebbero mai esserne parte.

 

L’ appello di Piera Maggio è alla verità.

 

Piera fa appello alla giustizia e cerca, altresì, il rispetto del nome di Denise chiedendo di non aprire profili social che rimandino alla figlia e di condividere solo le foto e gli age progression ufficiali.

 

 

Ma quali sono i nervi scoperti dell’inchiesta che basano, invece, l’interesse di tutti alla riapertura delle indagini?

 

Piera Maggio, nell’imminenza della scomparsa di Denise indicò subito agli inquirenti la pista familiare.

Certamente le vessazioni che allora subiva Piera configurerebbero oggi un reato all’epoca ancora non contemplato: ovvero il reato di atti persecutori, che la legge italiana rubrica e tutela dall’anno 2009. Tuttavia, mettendo da parte il nome del reato e la sua configurabilità, anche allora era evidente che la nascita di Denise e la relazione tra Piera e Piero sono stati causa di profondi “dolori familiari”.

 

Malgrado la compromissione degli eventi e la fondatezza delle indicazioni (peraltro prestate da una donna che in quelle ore faceva i conti anche con l’ammissione pubblica della verità sulla paternità di sua figlia), l’indicazione di Piera non riuscì a trovare riscontro nell’attività investigativa.

 

L’indirizzo di una importante perquisizione risultò errato e gli investigatori inviati a casa dell’ex moglie di Piero Pulizzi entrarono nell’abitazione di una vicina nella quale si mossero, però, col convincimento di perquisire la casa della signora Corona.

 

Allo stesso modo la richiesta della magistratura di allocare una telecamera dinnanzi l’abitazione di alcuni sospettati rimase inevasa per molti giorni e fino a quando, 7 giorni dopo (era il 24 novembre 2004), in quel luogo si tenne una conversazione chiave per l’indagine. La citata conversazione fu registrata grazie a una cimice posta su uno scooter, ma le persone coinvolte nel dialogo non hanno mai avuto un volto perchè non sono mai state identificate.

 

Una telefonata sospetta arrivò al cellulare di Pietro Pulizzi e, sebbene gli inquirenti risalirono al proprietario del telefono, le tracce e il perchè di quella chiamata caddero nel vuoto lasciando un altro enorme punto interrogativo tra le maglie dell’inchiesta.

 

Ma procediamo con ordine ed esaminiamo i punti qui citati uno per volta.

L’errata perquisizione è nota ormai a tutti: il 1°settembre 2004, a poche ore dal rapimento di Denise, una pattuglia dei Carabinieri, consapevoli del retroscena familiare relativo alla paternità di Denise, si recarono a casa Corona con lo scopo di effettuare una perquisizione, ma la signora Anna Corona li fece accomodare in un appartamento a pian terreno che, anni dopo, si è rivelato non essere il suo.

Di fatto, le forze dell’ordine furono fatte accomodare in casa di una vicina, a loro fu dato libero accesso agli ambienti della casa lasciando intendere che si trattasse dell’abitazione in cui vivevano Anna Corona e le sue figlie.

 

La mancata telecamera: il 24 novembre 2004 una delle persone sospettate di essere implicate nel rapimento di Denise parcheggiò il suo scooter sotto l’abitazione di residenza, il mezzo era sotto intercettazione, ovvero gli inquirenti vi avevano posto una cimice che stava registrando. In prossimità di quello stesso scooter si udì, grazie alla suddetta cimice, parlare di una presunta Denise:

– Ciao Pe’

– Vai a a prendere Denise?

– Ma Peppe cosa ti ha detto? Dove la devi portare?

Questa la conversazione come intercettata e come resta trascritta agli atti.

I volti degli interlocutori sono rimasti ignoti, come le loro identità e non si è mai saputo chi sia questo tale Peppe. Ma ciò che colpisce, anche alla luce degli ultimi riscontri, è che 7 giorni prima i magistrati impegnati sul caso avevano disposto l’allocazione, proprio in quel luogo, di una telecamera e la richiesta era rimasta inevasa.

 

Ma in questa intercettazione, parlavano sicuramente di Denise Pipitone?

Gli inquirenti si sono posti questa domanda e hanno indagato in tal senso: 13 le Denise sul territorio di Mazara del Vallo, 30 le persone sentite, tutti parenti delle stesse 13 Denise e nessuna delle loro dichiarazioni ha potuto ricollegare in alcun modo quella conversazione ad un’altra donna e\o bambina con quello stesso nome.

 

Piero Pulizzi, poco dopo la scomparsa della figlia, ricevette una telefonata: fu una chiamata brevissima nella quale si riconosceva solo la voce di una donna straniera e il pianto di una bambina.

Le autorità inquirenti risalirono alla proprietà del telefono da cui era partita la chiamata: apparteneva a un capo famiglia di un campo rom e il numero del Pulizzi era effettivamente registrato sull’apparecchio sotto la voce “Piero Fra”. Se Fra stava per fratello, come nell’uso gergale della parola, questo avrebbe dovuto indicare una stretta confidenza o prossimità familiare, ma le indagini non hanno appurato nulla in merito.

 

Il campo rom fu perquisito due volte, la figlia del proprietario del telefono, a cui fu attribuita la disponibilità dello stesso, negò la chiamata e anche di conoscere Piero.

Malgrado la congruenza del numero e il nome di Piero nella memoria dell’apparecchio, anche questa vicenda resta senza una determinazione finale netta.

 

Tutto ciò senza contare il fatto che gli inquirenti, poco dopo il rapimento, pensarono di aver individuato l’auto della fuga in una vettura incidentata poco lontano dalla strada della sparizione.

Pur avendo contezza dell’incidente e pur possedendo tracce di vernice della macchina, che aveva impattato con un palo della pubblica illuminazione, anche il capitolo “auto della fuga” è rimasto aperto e della macchina non si sono mai riscontrati né marca né modello.

 

Per non parlare della testimonianza chiave del sordomuto Battista Della Chiave, che giurava di aver visto Denise poco dopo il rapimento, e la cui dichiarazione è rimasta del tutto estranea all’iter del processo: Battista della Chiave, a detta sua, vide Denise mentre veniva caricata addormentata nel ripostiglio di un peschereccio.

I parenti del Della Chiave hanno sempre sostenuto che Battista fosse inattendibile poiché, secondo loro, non parlava correttamente la lingua dei segni. La corretta capacità espressiva del testimone è stata, invece, confermata da molti esperti della lingua dei segni e da altri sordomuti. Purtroppo questo testimone è venuto a mancare e non potrà più confermare né validare le sue posizioni.

Una fonte anonima aveva già indicato la presenza di Denise in un peschereccio e, infatti, nell’imminenza del rapimento furono perquisiti tutti i pescherecci di Mazara del Vallo.

 

Chi sa parli, l’ appello di Piera Maggio. Piccolo approfondimento su Battista Della Chiave.

 

Battista Della Chiave, uomo sordomuto di 75 anni, ha lungamente sostenuto di avere visto Denise proprio nel giorno della scomparsa.

All’epoca della scomparsa di Denise, Battista lavorava in un magazzino di Mazara, il 1° settembre 2004 avrebbe visto Denise tra le braccia di suo nipote, l’uomo si sarebbe allontanato dopo aver fatto una telefonata.

Battista Della Chiave ha più volte riconosciuto nelle foto di Denise la bimba incontrata quel giorno, ma non ha mai testimoniato in aula. Le sue dichiarazioni sono state video registrate dall’avvocato di Piera Maggio e sono state raccolte dalla Tv di inchiesta. Ma chiamato in giudizio si è avvalso della facoltà di non rispondere e dato il vincolo parentale i magistrati del processo di primo grado non hanno potuto acquisire le sue dichiarazioni.

Il momento cristallizzato nei ricordi di Battista si collocherebbe a 20 minuti dalla scomparsa di Denise, il fatto cioè si era appena consumato.



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