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La professoressa razzista che all’alunna ebrea ha detto una frase choc

di Alessandra Albanese

07 Aprile 2013

Le scuole sono sicuramente luogo dove dovrebbe regnare l’ordine e la disciplina.

E dovrebbe essere compito degli insegnanti “educare” le generazioni future a questi atteggiamenti.

Tutti quelli che a scuola ci hanno passato gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza poi sanno quanto può essere duro il lavoro degli insegnanti: che devono confrontarsi con venti, venticinque a volte anche trenta ragazzini, che possono essere sì ordinati e disciplinati, ma anche, e spesso causa anche l’età, insolenti e ribelli.

E’ di pochi giorni fa la notizia di un fatto, accaduto all’inizio della anno scolastico in un liceo romano.

Una ragazza si sente male in classe, va in bagno, torna, ma il malessere non passa. L’insegnante esprime una frase: “Se fossi stata ad Auschwitz saresti stata attenta”.

La ragazza, ebrea, comincia a piangere, e i compagni solidarizzano: “Prof. Lei è razzista”. La professoressa però non cede: Non è questione di antisemitismo ma di disciplina, che manca nella scuola italiana di oggi.

La mamma della ragazza, insolentita dalla frase e dall’atteggiamento della docente si rivolge al preside e si apre una formale istruttoria. L’insegnante si difende ancora: “Ho detto quella frase per indicare un posto organizzato”.

Rischia 15 giorni di sospensione e, malauguratamente, si ammala.

A gennaio la famiglia della ragazza interpella la comunità ebraica della capitale e il presidente della comunità incontra sia la famiglia che il preside e la professoressa.

Anche in questo caso l’insegnante conferma la sua posizione, mentre la preside risponde con un’altra considerazione: “Ma mi pare importante che i ragazzi abbiano solidarizzato con la loro compagna e l’episodio è stato ben assorbito dalla scuola. La professoressa non voleva dire quel che le è uscito fuori dalla bocca e i ragazzi hanno interpretato senza filtri. Non voleva offendere nessuno, e infatti non è stata punita”.

Giovedì scorso poi la classe è andata in visita al museo ebraico, il presidente Pacifici li ha elogiati, appellandoli come veri eroi, coloro che non rimangono indifferenti: “La cultura di questi ragazzi che sconfigge l’indifferenza credo che meriti di essere premiata come accade ogni 27 gennaio al Quirinale. Come Comunità ebraica ci faremo promotori di segnalare questo splendido episodio di altruismo alla Presidenza della Repubblica”.

Il fatto potrebbe dare spunto a qualche altra riflessione.

E’ vero come ho già detto, i ragazzi in classe non sono delle vere e proprie reclute, d’altronde le reclute hanno altra formazione, e la scuola non arruola, insegna, educa. Il significato della parola educare indica proprio che gli insegnanti devono “educare” tirar fuori dai ragazzi il meglio. Ma i ragazzi, specie a certe età sono spesso indomabili. Il branco poi, rafforza, anche i più agnelli affilano gli artigli, e ogni tanto gli insegnanti possono soccombere.

Un plauso dunque agli insegnanti che ogni giorno, per tornare a discorsi militari, mettono l’elmetto e scendono in trincea.

Mi chiedo però una cosa: perché questa professoressa aveva un’idea così “personale” dell’ordine?

Era Auschwitz un luogo dove regnava l’ordine?



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