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Niki Aprile Gatti, la battaglia della mamma per rendere giustizia al figlio morto

di Federica Federico

23 Maggio 2013

niki aprile gattiNiki Aprile Gatti è morto il 24 giugno dell’anno 2008; aveva 26 anni; era un talentuoso informatico; era un giovane equilibrato, vitale e felice; era incensurato, sano, non beveva e non fumava; veniva da un’ottima famiglia che lo aveva educato al rispetto dei doveri ed era ossequioso della legge e delle autorità; godeva dell’appoggio dei suoi familiari e aveva un ottimo rapporto con la mamma; era vivo e in maniera serenamente normale costruiva il suo futuro professionale come ogni giovane si sforza di fare.

Niki Aprile Gatti oggi non c’è più, ma non è semplicemente un morto, un giovane prematuramente scomparso: adesso Niki è un cittadino deceduto che merita di giustizia!

Le circostanze della morte di Niki Aprile Gatti sono quantomeno dubbie e a distanza di 5 anni esse sono ancora tutte da accertare. Lo Stato tuttavia non vuole riconoscere nel decesso di questo giovane alcuna incongruenza e nega ai familiari di Niki ogni approfondimento risolvendo il caso con un’archiviazione per suicidio.

La mamma di Niki chiede giustizia, conoscenza e verità.

È per questo (per dare voce ad una madre e per richiamare lo Stato ai suoi doveri di trasparenza verso i cittadini tutti) che la società civile deve conoscere la verità di Niki e diffondere l’importante istanza di giustizia sotenuta dai suoi familiari.

Ma procediamo con ordine partendo dal racconto della morte di Niki. I fatti:

– Niki Aprile Gatti era un giovane e promettente informatico, al momento della sua morte era impiegato presso una società informatica con sede a San Marino, conduceva una vita serena e “banalmente normale”.

La società per la quale Niki lavorava venne coinvolta in una complessa inchiesta giudiziaria denominata “Premium”, i dettagli di questa attività investigativa come gli esiti ultimi dell’inchiesta non sono però noti alla famiglia che a tutt’oggi cerca senza successo di apprendere gli sviluppi di tale indagine.

La ricostruzione più plausibile è che l’indagine afferisse alla truffa dei numeri con prefisso 899, numeri tramite cui moltissimi titolari di utenze telefoniche furono raggirati. Nello specifico l’inchiesta sarebbe stata stimolata proprio dalle denunce dell’utenza lesa da bollette telefoniche “gonfiate”.

Furono numerose le società telefoniche ed informatiche coinvolte nel caso ma non venne mai indagata la Telecom rimasta totalmente estranea alla vicenda giudiziaria.

– Oltre Niki vennero dedotte in carcere altre 17 persone, tutte diversamente legate al caso del prefisso 899; le manette strinsero prima i polsi del titolare della società informatica presso cui Niki Aprile Gatti lavorava e successivamente furono coinvolti anche gli impiegati.

niki gattiL’arresto di Niki si consumò giorno 19 giugno, su di lui pendeva un’accusa di frode informatica.

Il ragazzo fu fermato dalle autorità giudiziarie all’uscita dello stabile ove aveva sede l’ufficio dell’avvocato aziendale dal quale si era recato proprio dopo l’arresto del suo titolare, probabilmente per avere lumi sulla vicenda.

Tratto in carcere Niki non comunicò in nessun modo con la famiglia. La totale assenza di contatti tra Niki e la sua famiglia è una delle diverse anomalie di questo caso: le autorità carcerarie affermano che Niki Aprile Gatti avrebbe compiuto una telefonata indirizzata a casa sua. La madre, che nega tale circostanza, ha chiesto i tabulati telefonici ma non li ha mai ricevuti, né mai questi stessi tabulati sono rientrati tra gli atti del processo per la morte di Niki.

La madre di Niki, affiancata dai legali, chiese di entrare in contatto col figlio ma non le fu permesso. Oggi la donna conosce e fa mostra di una circolare ministeriale dedicata ai primi ingressi in carcere e ne denuncia l’assoluto mancato rispetto.

In forza di tale circolare quando una persona viene dedotta in una struttura penitenziaria ma arriva dalla libertà, è cioè alla sua prima esperienza carceraria, vanno favoriti i rapporti con la famiglia e agevolato il contatto con l’esterno, non solo per un migliore patrocinio della causa ma anche in considerazione dell’effetto della carcerazione sulla psiche umana. A Niki i contatti con la famiglia vennero, invece, negati.

Niki fu il solo dei 18 arrestati a manifestare la propria intenzione a collaborare, fu l’unico a non avvalersi della facoltà di non rispondere.

Malgrado ciò, malgrado quindi la reale e viva disposizione del giovane alla collaborazione, il ragazzo fu dedotto in un carcere durissimo e rinchiuso in regime di isolamento. Al contrario agli altri 17 indagati, tutti indisponibili alla collaborazione, furono concessi i domiciliari.

La detenzione dura di Niki è un ulteriore interrogativo a cui la mamma oggi chiede di dare una risposta plausibile.

– Per di più il verbale di deduzione in cella di Niki non è firmato dal giovane. Con tale verbale il carcerato prende possesso della cella e prende atto della sua collocazione ai fini detentivi nella specifica cella assegnatagli dalla guardia carceraria. Di fatto Niki fu collocato in una cella inadeguata alle sue esigenze e inopportuna perché già abitata da due extracomunitari ad alta sorveglianza, cioè ad alto tasso di violenza e ad alta pericolosità.

niki gatti

  • Ecco che si palesa ancora una stranezza: per quale motivo un giovane al suo primo ingresso in carcere, senza alcun precedente problema con la giustizia, pacifico, remissivo e pronto alla collaborazione venne posto in una cella con due pericolosi criminali?

– Oltretutto a Niki furono lasciati i lacci delle scarpe (quelli con cui si sarebbe tolto la vita secondo gli accertamenti giudiziali) ma ai suoi compagni di cella era fatto assoluto divieto di avere o maneggiare lacci, stringhe, corde o similari.

In pratica Niki portava dei lacci in una cella in cui vivevano due soggetti per i quali i lacci erano considerati a rischio ed ai quali per questo lacci ed oggetti similari venivano assolutamente vietati.

Nella mattinata del 23 giugno Niki venne prelevato dalla sua cella e condotto dal giudice per l’interrogatorio di garanzia. 10 ore dopo Niki era morto. La mamma fu avvisata del decesso con una telefonata.

– Stando alla ricostruzione ufficiale sulla cui base è apparsa poi necessaria e giustificata l’archiviazione del caso, Niki Aprile Gatti si sarebbe suicidato impiccandosi con i lacci delle sue scarpe.

Qui si svela l’incongruenza più evidente del caso Aprile Gatti: Niki era alto 1metro ed 82centimetri e pesava 90kili, è difficile (se non impossibile) pensare che un uomo di questa stazza possa essersi impiccato con un paio di lacci da scarpe.

A fronte di tale opposizione le autorità rivelano un particolare: Niki avrebbe agevolato la sua impiccagione creando una corda mortale con porzioni di tessuto stracciate dai suoi jeans. Il fatto che colpisce è però che gli indumenti del giovane, al momento del rinvenimento del cadavere, fossero intatti e neanche minimamente stracciati.

niki aprile gatti

– Inoltre, poco prima del suo decesso e durante l’ora d’aria, Niki aveva parlato con una guardia carceraria che, come da verbale, lo aveva trovato sereno, equilibrato e tranquillo. Nel verbale che riporta dell’incontro manca però l’indicazione del luogo in cui i due parlarono; la conoscenza del luogo sarebbe molto importante perché la morte di Niki avvenne nel medesimo lasso di tempo in cui si consumò anche tale conversazione e ricostruire i movimenti del giovane all’interno della struttura carceraria potrebbe favorire la verità. La madre ha chiesto di conoscere anche questo dettaglio che tuttavia, come altri particolari non trascurabili, le è stato celato.

– Il decessodi Niki è stato archiviato come suicidio avvenuto per impiccagione volontaria sostenuta e resa possibile grazie all’uso di lacci da scarpe.

Il verbale del primo medico accorso in cella costata la morte ma alla voce causa riporta però la dicitura “arresto cardiocircolatorio”. L’indicazione del suicidio, stando proprio alla lettura del testo, è successiva. Anche in ragione di ciò la madre ha domandato l’esame tossicologico sul corpo di Niki, esame che non è mai stato compiuto.niki aprile gatti

È bene precisare che per le morti nelle strutture carcerarie comunemente si effettua l’esame tossicologico, in maniera particolare esso poteva essere utile su Niki essendo certo ed inequivocabile il fatto che il ragazzo non beveva, non fumava e aveva buona cura del suo corpo. Ma a dispregio di ogni prassi nemmeno questo passo verso la verità è stato compiuto.

Nell’opporsi all’archiviazione del caso di Niki la mamma svela altri dettagli inquietanti che accompagnano il decesso di suo figlio:

– a venti giorni dalla tragica fine di Niki i familiari hanno aperto l’uscio della sua casa e dietro la porta non hanno ritrovato più nulla, l’appartamento in cui Niki viveva fu completamente ripulito e svuotato. Alla denuncia di furto le autorità hanno dato poco seguito.

– Fondamentalmente la madre cercava il computer del figlio, che avrebbe potuto permetter un diversa ricostruzione della sua morte ma quel personal computer non è mai stato rinvenuto neanche presso l’ufficio di Niki. L’azienda, poi chiusa e liquidata, ha giustificato lo “smarrimento” del computer di Niki con delle possibili alienazioni di beni aziendali, ma la madre sottolinea il fatto che la società per cui il figlio lavorava era stata operativa e attiva sino al momento degli arresti.

  • Perché i computer non furono sequestrati? Trattandosi di reati informatici non potevano essi essere considerati elementi essenziali dell’inchiesta o cosiddette “armi del delitto”?

La mamma di Niki chiede giustizia e, alla luce dei fatti, tale richiesta non può non essere appoggiata e condivisa.

Niki Aprile Gatti deve diventare il figlio di tutte noi e rinascere in una aspettativa civile di verità … i suoi occhi si sono chiusi per sempre nel carcere di massima sicurezza di niki gattiSolliciano ma possono riaprirsi oggi in una comune conquista di legalità

Giustizia e legalità sono i pilastri della coesistenza sociale, infatti assicurando a ciascun membro della società diritti certi e stabili garanzie ed insieme assicurando il rispetto della legge (intesa come ordine costituito) lo Stato tutela la pacifica, equa e non conflittuale coesistenza tra gli individui.

Ma giustizia e legalità sono principi sempre riconoscibili, vigilati e garantiti? Teoricamente dovrebbero esserlo, praticamente lo Stato fallisce nello stesso momento in cui il sistema contraddice se stesso tradendo i principi basilari di uguaglianza, trasparenza e legalità.

Lo Stato fallisce ogni qualvolta si chiude dinnanzi alle istanze del cittadino; lo Stato tradisce i suoi intenti primari quando non rivela le sue verità né risponde alle domande di giustizia dei suoi membri; lo Stato perde il crisma del diritto quando la legge non parla ai giusti ma si oppone ad essi. Dinnanzi ad ogni insolvenza dello Stato le istanze di verità e giustizia non devono però piegarsi o mortificarsi, l’opinione pubblica ha il diritto ed il dovere di richiamare lo Stato ai suoi doveri anche pretendendo di conoscere le verità più scomode e nascoste.



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