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Spara alla moglie per colpa del telefono, ecco perchè

di Maria Corbisiero

14 Giugno 2013

Il 13 agosto del 1998 un uomo, oggi 59enne, scopre la dispendiosa passione della moglie: parlare al telefono per diverse ore con una cartomante.

Dopo essersi visto recapitare, nel giorno sopra indicato, una bolletta telefonica del bimestre precedente pari a 2 milioni di lire (parliamo infatti del vecchio conio – ndr), e dopo aver constatato che gli scatti conteggiati nel solo mese di agosto avevano già raggiunto la cifra di un milione e mezzo, l’uomo ha imbracciato il proprio fucile a due canne sparando alla donna e colpendola al torace.

La moglie si salva, nonostante le gravi ferite riportate, il marito subisce un processo per tentato omicidio.

Nonostante la notizia risulti alquanto datata, è divenuta attuale in seguito alla sentenza di “terzo grado” n° 26017 depositata ieri, 13 giugno 2013, che sì condanna l’uomo per tentato omicidio, confermando così la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Perugia nel dicembre 2011, ma non conferma l’aggravante dei futili motivi.

La Suprema Corte avrebbe infatti accolto le motivazioni fornite dalla difesa secondo le quali il gesto compiuto dall’uomo non dev’essere inteso come un atto “futile” bensì come un gesto “irrazionale” in quanto il pagamento della bolletta ricevuta dimezzava il suo reddito che, all’epoca dei fatti, era di quasi 3 milioni circa.

“Il motivo che ha determinato l’imputato a compiere il gesto di estrema gravità in danno della moglie – ha riconosciuto la Suprema Corte – non è costituito dall’uso smodato del telefono da parte della vittima (fatto obiettivamente banale rispetto al delitto compiuto), ma dalla circostanza che il ricorso a servizi telefonici di chiromanzia comportava costi tali da dimezzare il reddito dell’imputato, con le gravi ripercussioni sul bilancio familiare”.

Tutto ciò non ha comunque modificato la pena che l’uomo dovrà comunque scontare.



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