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Tito il bambino morto senza pentimenti per scalare le rocce

di Alessandra Albanese

08 Luglio 2013

Tito Traversa era una promessa del climbing italiano.

12 anni, mani piccole ma forti che si arrampicavano nude alle pareti delle montagne, sembrava uno stambecco Tito.

Poi la disgrazia.

Era partito per Orpierre in Francia, con altri allievi della scuola di climbing Beside per allenamenti. Martedì stava arrampicandosi su una aprete verticale, era con degli istruttori e le attrezzature non erano le sue. Un fermo cede la corda di sicurezza vola, e Tito cade da un’altezza di 20 metri e sbatte violentemente la testa.

La corsa all’ospedale di Grenoble, Tito è in Coma.

I genitori Giovanni e Barbara accorrono, Tito non riprende conoscenza, per un fatale errore, di quelli che capitano, ma raramente, perché arrampicarsi non è uno sport in fondo così pericoloso (per un professionista ed in condizioni di assoluta sicurezza).

Tito muore senza mai risvegliarsi, il 5 luglio, venerdì.

Lo annunciano i genitori, che annunciano anche di avere acconsentito all’espianto degli organi.

Il piccolo Tito con Adam Ondra, campione di climbing ceco

Il nostro piccolo grande Tito è ora un angelo e ha donato i suoi organi affinché altri ragazzi possano vivere. Resterà per sempre nei cuori del suo papà e della sua mamma“, le parole del padre, Giovanni Traversa, che risponde anche alle domande di chi gli chiede se non si senta in qualche modo pentito, di avere iniziato il figlio a questo sport.

Giovanni risponde con fermezza, non si sente affatto pentito, vuole soltanto capire cosa sia andato storto in quella arrampicata fatale.

Pentirsi? E poi di cosa, mi chiedo io. Di avere fatto diventare realtà i sogni del proprio figlio? Di non essere andato lui, Giovanni, al posto di Tito agli allenamenti con gli allievi della scuola? Di non avergli consigliato uno sport meno pericoloso, che ne so le freccette? O magari di averlo fatto restare a casa, così non gli succede niente.

Possono i genitori impedire che non succeda mai niente ad un figlio per amore? Magari si potesse, la vita sarebbe per tutti più tranquilla.

Ma non si può, la vita è questa. Tito aveva un sogno, si arrampicava da piccolissimo, faceva delle cose incredibili già a otto anni, come dice Giovanni stesso. Tito si è arrampicato, un fermo ha ceduto, una tragica fatalità.

Ci piace pensare Tito potrà vivere nelle persone alle quali ha donato i suoi organi, quelle alle quali, grazie a Tito, è stata concessa una seconda chance, e che magari ameranno la montagna proprio come questo piccolo campione



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