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Mio Figlio Non Mangia Niente, che Fare?

di Giuseppe Gagliano

04 Dicembre 2013

Mio Figlio Non Mangia Niente, che Fare?

Per i bambini, anche piccoli e piccolissimi, l’alimentazione non è solo un’esigenza di salute, non rappresenta solo un sostentamento fisico e un bisogno istintivo o fisiologico di nutrimento.

Il cibo è per i nostri cuccioli un’esperienza di vita: come ogni percorso di crescita e conoscenza, risente delle influenze del mondo esterno, assorbe, filtra e riporta i risultati delle sperimentazioni della vita.

Non sempre la vita di un bimbo è facile, a volte si incorre in qualche difficoltà alimentare, relazionale o comportamentale.

Ma alla domanda “perché mio figlio non mangia?” non si può mai dare una sola risposta. Non esite cioè una ragione oggettiva, al contrario esiste sempre e solo una causa singolare che dipende dal vissuto del bimbo, dal suo rapporto col cibo e con la casa, con la scuola e con i genitori.

Oggi VitadaMamma accoglie la richiesta d’aiuto di una mamma e affida la risposta al suo esperto educatore, motivatore e formatore, Giuseppe Gagliano.

Ecco la domanda della nostra utente:

Buongiorno,

sono la mamma di un bimbo di due anni.

Ha cominciato a frequentare il nido all’età di dieci mesi. Fino ad allora mangiava le sue pappe e riposava bene.

Dopo il compimento di un anno ha cominciato a rifiutare le pappe e io non ho fatto nulla per insistere, ma a scuola lo hanno un po’ forzato, così adesso non mangia che latte , qualche cracker, qualche biscotto, ma se gli proponiamo di sedersi con noi ad assaggiare le nostre cose dice sempre no!

Dopo aver sentito vari pareri di pediatri e dopo aver interpellato anche le educatrici del nido, credo di averle provate tutte … tutte tranne la soluzione più estrema ovvero quella di lasciarlo senza latte per indurlo a mangiare per fame.

Da ciò che osservo mio figlio è un bambino deciso, se dice no è no. Questa è la sua essenza.

Abbiamo recuperato il fattore sonno, andandolo a prendere a scuola prima e facendogli fare il sonnellino a casa.

A giugno di quest’anno, in concomitanza con una gastroenterite, ha avuto crisi di collera verso se stesso e buttandosi per terra cercava di farsi del male anche la notte quando si svegliava.

Tutto sembrava risolto con le vacanze estive: il bambino era sereno e felice sebbene non mangiasse ancora.

A settembre abbiamo cambiato asilo, la mattina non ci va volentieri sono quasi sempre pianti di disperazione. Tuttavia quando vado a prenderlo è stanco ma sereno e le educatrici mi dicono che si diverte un sacco anche se chiede della mamma e del papà.

In realtà durante la fase dell’inserimento sono tornate le crisi di collera, ma poi sono passate.

Due settimane fa il piccolo è stato poco bene e da allora si arrabbia ancora facilmente, e in più si innervosisce verso il papà ( a me pare che il bimbo non voglia il papà fisicamente accanto a noi: lo manda via fisicamente e chiude la porta). Però quando non c’è lo cerca e passata la crisi si mettono a giocare insieme.

A scuola insistono per una alimentazione sana. Il bambino manifesta difficoltà nell’approccio alle cose nuove e diventa difficile da gestire se decide che è NON vuole una cosa.

Io spesso mi sento inadeguata, chiedo consigli ma quello che mi viene detto non si applica al caratterino di mio figlio, che comunque è un bambino gioioso e giocherellone, intelligente e sveglio.

Ultimamente se sta facendo qualcosa che lo entusiasma e noi lo osserviamo cala giù la vergogna come con gli estranei.

Riguardo al cibo la situazione attuale è questa: purtroppo rifiuta qualsiasi piatto che mangiamo anche i più appetitosi e rifiuta persino le “porcherie” che non sono sane ma che noi gli proponiamo nel tentativo di incuriosirlo. In pratica si limita a tanto latte, qualche cracker e biscotto. E la scuola che frequenta continua a sottolinearmi l’importanza di una sana alimentazione, ma noi ce la mettiamo tutta senza nessun risultato.

Per sopperire al problema cibo a scuola fino ad adesso ho portato io da casa cracker, mousse di frutta e qualche biscotto. Da lunedì però non danno più queste cose. E se mangia quello che gli propongono bene. Altrimenti, dicono le educatrici, mangerà a casa. Ma vado a prenderlo alle 13:15 e puntualmente crolla in macchina dalla sonno.

Ecco la risposta dell’esperto:

A due anni un bimbo può già mostrare il suo carattere e può usare ogni mezzo per attirare a se le attenzioni di chi ama.

La mamma e il papà sono sicuramente i bersagli che colpisce coinvolgendoli in un paradigma di amoresperimentazioni odio nel quale l’amore richiede attenzione affettiva e l’odio attenzione punitiva.

Per quale motivo? Questo è da ricercare nel contesto della famiglia.

Può darsi che vive la scuola materna come un abbandono che si ripete tutte le mattine o forse ci sono altre cause o fattori che la mamma non ha illustrato o percepito.

Gli educatori dell’asilo sono solo dei mezzi che comunicano a mamma e papà che quello che fa a casa si ripete anche e soprattutto al di fuori di essa.

La soluzione potrebbe venire dal gioco che sicuramente ama. Se si riuscisse a far diventare un gioco ritmico tutto ciò che il bimbo fa, forse, il piccolo potrebbe trovare un equilibrio rimettendo a posto ogni cosa: il cibo, il sonno, mamma e papà e la scuola materna.

Il gioco ritmico può consistere nel fatto che ad ogni cosa gradita dal bimbo deve corrispondere un boccone di qualcosa e pian piano far diventare questo comportamento ritmico, appunto.

Per esempio se il bimbo vuole giocare gli si dirà:” Piccolo, adesso giocherai con questa o quella cosa, con questo o quel bambino e ti divertirai, dopo, sicuramente faremo un altro gioco ma prima devi mangiare un fusillo (o altra pasta oppure un pezzettino piccolissimo di bistecca o quel che si vuole in dosi minime da fargli vedere prima) dopo potrai giocare.

Quando ha finito il gioco, proporre un altro piccolo boccone perché è stato bravo e merita di giocare ancora. Se il bambino accetta subito va bene, se non accetta, farlo giocare lo stesso ma interrompere il gioco prima e dire che se avesse accettato quel piccolissimo boccone, avrebbe sicuramente giocato di più.

Non usare mai i termini coercitivi come ” avresti potuto giocare di più” ma, semplicemente “avresti giocato di più“.

sperimentazioniMettere in evidenza che giocare di più dipende da lui e non da voi altrimenti percepirà il cibo come una punizione e troverà come pretesto per attirare nuovamente l’attenzione su di sè tale punizione che non accetta. E’ una sottile differenza che lo indurrà a riflettere che dipende da lui come anche il fatto di mangiare dipende da lui e non dalla mamma, dagli educatori e così via.

Lo stesso gioco può essere adoperato con lo stesso cibo che consuma: “Guarda che buon latte ti ha preparato la mamma, prima di berlo però giochiamo con una fetta di pane e cioccolato. Ne mangiamo un morsettino ciascuno, tu mamma e papà, (o nonna, nonno, zia) e poi bevi tutto il tuo latte.”

Bisogna sdrammatizzare con garbo e naturalezza quello che il bambino sta costruendo e fargli capire col gioco che a casa è al sicuro e che a scuola può star tranquillo perché dopo che ha giocato e imparato molte cose, tornerà ancora a casa tutti i giorni.

 



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