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2 Aprile, Giornata Mondiale dell’Autismo

di Alessandra Albanese

02 Aprile 2014

Il 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo.

Questa celebrazione è stata adottata dalle Nazioni Unite a partire dal 2007, per sensibilizzare e portare una “luce”, ovvero una maggiore conoscenza nel mondo sulla sindrome dell’autismo.

Ogni anno moltissime organizzazioni e comunità che si interessano di autismo partecipano a questa iniziativa globale per cercare fondi e diffondere notizie e nozioni su questa patologia che affligge da 5 a 50 persone ogni 10 mila nel mondo.

Lo slogan “Light it up Blue” lanciato dalla maggiore organizzazione nordamericana che si interessa di autismo (Autism Speak, la più grande organizzazione mondiale di volontariato che finanzia gli studi sull’autismo), ovvero accendi il blu, vuole significare portare una luce a queste persone, che vivono in un mondo tutto personale, e rendere consapevoli gli altri che questo mondo non lo conoscono.

L’iniziativa vuole che si “dipinga” di blu un qualcosa, che va dai monumenti più importanti delle città (a New York si illuminerà di blu l’Empire State Building, lo scorso anno nel mondo furono blu oltre 8.400 edifici) alle magliette ai palloncini, per esprimere solidarietà nei confronti di soggetti affetti da autismo.

A questa iniziativa aderiscono inoltre molte altre organizzazioni di oltre 40 paesi nel mondo.

Nell’occasione della giornata, queste associazioni aderiscono alle celebrazioni con iniziative varie, tutte volte non solo alla raccolta fondi, ma alla diffusione e alla consapevolezza del mondo dell’autismo, un mondo ancora troppo poco conosciuto e indagato.

L’autismo, in origine Sindrome di Kanner, dal nome del medico che per primo pose l’attenzione su questa sindrome, è un disturbo di tipo neuropsichiatrico che coinvolge le funzioni cerebrali.

La prima caratteristica di un soggetto con sindrome autistica è una spiccata mancanza di integrazione socio-relazionale.

Sebbene, dopo anni di ricerche si è arrivati a concludere che vista la varietà di sintomatologie si definisce più correttamente con Disturbi dello Spettro Autistico (DSA o, in inglese, ASD, Autistic Spectrum Disorders)

Di autismo si cominciò a parlare nella seconda metà del 1800, quando John Langdon Down, medico che scoprì la sindrome che porta il suo nome, rilevò caratteristiche cliniche in alcuni soggetti, che oggi verrebbero diagnosticati come autistici.

Dopo di lui il dottor Leo Kanner, negli anni trenta descrisse alcuni pazienti affetti da psicosi infantili.

Si deve aspettare però un epoca abbastanza recente per avere un quadro clinico avulso da convinzioni errate: molti studiosi infatti hanno approfondito le conoscenze di questi disturbi negli anni ’80, ed è soltanto del 2011 la pubblicazione, da parte dell’Istituto Superiore di Sanità delle linee guida sul trattamento dell’ autismo in soggetti adulti e bambini.

Sebbene la causa dell’autismo sia ancora sconosciuta, quasi tutti sono ormai d’accordo nell’affermare che il disturbo abbia origine biologica e non sociale come in precedenza ipotizzato.

Inoltre, nonostante i modernissimi strumenti diagnostici in possesso della medicina moderna, difficilmente questo disturbo viene diagnosticato prima dei 2-3 anni d’età.

Il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) la bibbia della psichiatria, individua alcune caratteristiche comuni del disturbo autistico:

  • Ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio
  • Uso di un linguaggio stereotipato o ripetitivo o eccentrico
  • Mancanza di simulazione o giochi di imitazione
  • Mancanza di espressione mimica, sguardo sfuggente, posture e gesti tipici dell’interazione sociale
  • Incapacità di intrattenere relazioni sociali con coetanei
  • Interessi ristretti, stereotipati e ripetitivi
  • Manierismi tipici (battere o torcere le mani o il capo, movimenti del capo o del corpo)

Dal punto di vista eziologico inoltre va fermamente negata la tesi, che per molti anni ha interessato questo argomento.

Nel 1998 un medico chirurgo britannico di nome Andrew Wakefield pubblicò uno studio condotto da lui nel quale ipotizzava una correlazione tra il vaccino trivalente contro morbillo parotite e rosolia (MPR) e la comparsa di autismo nei soggetti vaccinati.

Si scoprì poi che Wakefield manipolò i dati sperimentali e addirittura percepì un compenso per affermare queste evidenze del tutto false.

Dopo aver pubblicato lo studio, anche lo stesso The Lancet, autorevole rivista scientifica, smentì assolutamente la teoria della correlazione tra autismo e vaccini, e addirittura 10 tra i 12 ricercatori dello studio ritrattarono le ipotesi.

Nel 2010, a conclusione delle indagini del General Medical Council, Wakefield venne espulso dall’albo dei medici.

Anche in Italia, pochi giorni fa, con una lunghissima nota, il direttore del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della salute dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) Stefania Salmaso ha ribadito che non esiste alcun legame tra vaccinazione MPR e autismo.

Concluso il capitolo dell’origine resta però un’altra domanda forse più importante da farsi:

Come si tratta un bambino affetto da autismo?

In primo luogo è bene capire che il bambino autistico ha un suo mondo, ed è importante cercare di mettere in relazione questo loro con il nostro.

Anche in questo le linee guida dell’ISS sottolineano l’importanza dell’intervento di esperti che guidano i pazienti e le loro famiglie in un percorso comune.

Modalità di comunicazione, interventi specifici che possano favorire la comunicazione tra il bambino e il resto del mondo, miglioramento del linguaggio e dei comportamenti di questi ultimi, tutto quello insomma che implica la vita quotidiana fatta di routine e relazioni con gli altri.

In alcuni casi sono consigliati farmaci antipsicotici e stimolanti del sistema nervoso centrale, ma le sfumature del disturbo in ogni soggetto rendono necessaria l’indicazione di trattare il paziente in maniera del tutto personale, diversa da persona a persona.

Infine, considerare un bambino, o un adulto autistico come un soggetto affetto da ritardo, potrebbe essere troppo riduttivo.

E’ vero che per aiutare questi soggetti è necessario un intervento standardizzato, volto a migliorare la qualità della vita del paziente e dei suoi cari, ma è anche importante non dimenticare cosa prova questo bambino, perché si comporta in un certo modo, è infine importante trattare i suoi sintomi in maniera specifica, chiedendosi il motivo di questi comportamenti.

Perché non è detto che chi si comporta normalmente sia più sano, anzi, l’autismo è un modo di vivere un proprio mondo, ed è questo che non dovrebbe mai essere perso di vista in qualsiasi approccio a questo disturbo.



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