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Bambino viziato: i vizi dei figli sono colpe dei genitori, ecco come evitarli

di Federica Federico

03 Dicembre 2018

I bambini viziati non esistono, almeno non in potenza, il vizio, inteso come una sistematica ripetizione di un comportamento capriccioso, è un difetto educativo ingenerato dal genitore sin dalla prima infanzia. Pertanto, se tuo figlio è un bambino viziato, la colpa dei suoi capricci è solo tua in qualità di genitore “evitante”.

 

Tutto questo lo afferma lo psicologo infantile David Elkind.

 

Procediamo con ordine, seguendo gli insegnamenti di questo esperto psicologo cerchiamo di capire dove si incardina il “vizio”, come si radica e perché il genitore che innesca un meccanismo cosiddetto di “evitamento” non aiuta il bambino viziato a superare le proprie paure e angosce.

bambino viziato

I capricci non sono comportamenti da bambino viziato, almeno non sino ai tre anni d’età.

 

Essi sono uno strumento comunicativo che il bambino adopera istintivamente nella primissima infanzia. Il bebè e il bimbo piccolo, dunque, piangono perché così facendo rendono manifesto un bisogno di cui chiedono soddisfazione.

 

Prima dei tre anni di vita il pianto di un bambino può essere frequente e persino snervante per il genitore, tuttavia è assolutamente normale che il bimbo pianga e quell’atto, per quanto pesante, insistente e difficile da gestire, é un atto comunicativo.

 

Il bambino piccolo che piange o si lamenta non sta propriamente facendo un capriccio, piuttosto cerca di manifestare se stesso e chiede di essere ascoltato. In pratica, il bimbo piccolo piange ciò che non riesce a verbalizzare.

 

Già intorno ai 24 mesi il bambino dovrebbe incominciare a ridurre il pianto e il lamento in favore di atteggiamenti più “maturi” di comunicazione, verso i tre anni dovrebbe, poi, diventare collaborativo (ovviamente nei limiti delle sue giovani capacità).

 

Da come i genitori reagiscono al pianto (e ai capricci) dipenderà il livello di “vizio” del bambino.

 

Dinnanzi ai capricci in molti genitori scatta con un meccanismo di “evitamento”, ovvero l’interesse prevalente risulta quello di evitare radicalmente che il bambino pianga, si lamenti e faccia rimostranze (i bimbi si agitano, qualcuno si rotola sul pavimento, altri alzano i toni del lamento sino a urlare).

 

L’evitamento ha parecchi effetti collaterali: il genitore evitate è comunemente quello che cerca la soluzione più facile al problema, sino a concedere al bambino un palliativo al pianto.

 

Per i piccolissimi può essere palliativo il miele che certi genitori mettono sul ciuccio, laddove questa pratica resta persino pericolosa sino al primo anno di vita; per i bambini più grandi può essere di distrazione la concessione di una merendina, della cioccolata o di un gioco.

 

I palliativi al pianto aumentano il rischio di crescere un bambino viziato perché non guidano i figli alla scoperta delle ragioni profonde delle loro stesse frustrazioni, all’opposto bloccano la scoperta del sé (e delle sue soluzioni) attraverso una soddisfazione immediata.

 

Dare del cibo per spegnere una frustrazione è, poi, particolarmente pericoloso perché ingegnera nel bambino il rischio di interpretare il cibo stesso come una cura all’ansia, alla paura e allo sconforto.

 

Oltretutto, questi sentimenti negativi potrebbero aumentare laddove a un certo punto il cibo stesso dovesse diventare un problema, per esempio per ragioni di controllo del peso; venendo meno la possibilità di cibarsi per sfogo il bambino, ma anche l’individuo adulto, subisce il massimizzarsi delle sue stesse frustrazioni.

 

Ancora peggio è mortificare, urlare o sculacciare oppure schiaffeggiare, atteggiamenti, questi, che inducono il piccolo alla chiusura e a una massima opposizione all’adulto.

 

Nemmeno è giusto che il bimbo capriccioso venga abbandonato a se stesso. E’ superficiale e sbagliata, la vecchia frase delle nonne: “Lascialo piangere” (mia nonna diceva che il pianto fa aprire i polmoni, e mai frase fu più ridicola).

 

Il bambino va sostenuto con frasi e atteggiamenti confortanti, senza palliativi e senza abbandoni.

 

Certamente si sentirà amato e considerato quel bimbo che assista sistematicamente, sin dalla primissima infanzia, allo sforzo del genitore nella ricerca della vera soddisfazione dei suoi bisogni.

 

Se un bimbo piange perché non vuole assaggiare un nuovo cibo, per esempio, o perchè non vuole affrontare il primo giorno di scuola oppure cambiare casa, potrebbe non essere un bambino viziato e capriccioso, ma solo un piccolo spaventato.

 

Il compito del genitore è indagare sulla ragione delle sue paure e provare, in qualche modo, a risolverle.

 

Consolare un bambino, dimostrargli complicità e capacità di ascolto sono le prime “medicine contro i sintomi del bambino viziato”, danno benefici all’autostima e all’empatia genitore-figlio.

 

Se un bambino che abbia superato i tre anni non si dimostra cooperante, se è restio al confronto, se si chiude in se stesso e se manifesta attacchi di pianto o rabbia frequenti e “eccessivi” è bene confrontarsi col pediatra e di concerto valutare gli eventuali aiuti per favorire la comunicazione e la manifestazione serena dei sentimenti.

 

Lo sport aiuta molto a canalizzare le energie dei bambini, ad aderire alle regole, a stabilire il proprio baricentro emotivo diventando più ematici. Pertanto un primo trucco anti bambino viziato è lo sport, ogni bambino andrebbe precocemente iniziato a una disciplina sportiva vicina alle sue ispirazioni.

 


Fonte immagini 123RF con licenza d’uso – immagine Facebook diritto d’autore: hannamariah / 123RF Archivio Fotografico



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