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Urlare con i figli non serve

di Federica Federico

17 Marzo 2019

Per essere efficace, la comunicazione genitore-figlio dovrebbe avvenire sempre in modo dialogante e pacifico, infatti urlare con i figli non serve , come è non proficuo imporre o pretendere comportamenti non giustificati da regole metallizzate e concordate oppure usare punizioni corporali.

 

Tutto ciò che è “violento” non risolve nel bambino il dubbio sul buon comportamento e non educa, resta inefficace, se non dannoso, perché azzera il rapporto equilibrato e paritario in cui avviene lo scambio comunicativo.

 

Urlare con i figli non serve a niente

 

Urlare con i figli non serve; gli adolescenti e i pre-adolescenti (quindi dai 10\11 anni in poi), in modo particolare, hanno bisogno di sentirsi parte di un rapporto paritetico e equo con l’adulto.

 

Ogni disequilibrio minimizza il principio dell’affidamento con cui il bambino dovrebbe entrare in relazione con l’adulto: il figlio che si affida al dialogo con l’adulto ne percepirà la bontà, l’importanza e il valore lasciandosi educare; all’opposto il figlio che si sente in opposizione col genitore ne rifiuterà, per partito preso, le posizioni e i consigli.

 

Il genitore che urla, schiaffeggia, sculaccia o punisce si pone in aperta opposizione col figlio, la reazione dell’adolescente e del pre-adolescente è come quella di un riccio che si sente minacciato: diventa pungente e aggressivo.

 

I ricercatori rintracciano nei figli aggrediti verbalmente un comportamento sociale non equilibrato; molte mamme e papà di adolescenti irrequieti, non rispettosi dell’autorità e delle regole, bulli o aggressivi con i compagni, svogliati e disinteressati allo studio scolastico, dovrebbero essere informati sulla reazione emotiva dei figli all’educazione verbalmente aggressiva.

 

Comunicare è la sola via per educare serenamente, perché urlare con i figli non serve e chi alza la voce alza un muro.

 

Partiamo dal presupposto che urliamo o abbiamo urlato tutti, “scagli la prima pietra il genitore che non ha mai commesso questo peccato“.

 

Qui non si vuole processare né condannare l’occasionale stanchezza del genitore, quella particolare circostanza in cui il figlio veramente ci ha fatto perdere le staffe o sembrava sfidarci con la sua “prepotenza da mezzo ometto o mezza donnina“, perché l’adolescenza è proprio quella fase in cui da un lato c’è il genitore che vorrebbe evitare al figlio tanti errori e dall’altro c’è il ragazzino\bambino con il suo sacrosanto diritto a sbagliare.

 

Urlare con i figli non serve a niente

 

Qui vogliamo esaminare scientificamente il risultato ultimo dell’educazione verbalmente violenta portata avanti in modo comune, costante e non occasionale.

 

Urlare con i figli non serve a educarli:

 

1- le urla del genitore innescano una sensazione di paura e inconsciamente allertano il cervello come se scattasse un allarme di pericolo;

 

2 – il genitore che urla rompe continuamente l’equilibrio emotivo del bambino e manda in frantumi i ponti comunicativi indispensabili perché mamma\papà e figlio si inter-relazionino;

 

3- le urla dei genitori stimolano l’ormone dello stress;

 

4 – il bambino che riceve dal genitore continue risposte negative (così possiamo classificare le urla costanti e reiterate) perde autostima e tende a chiudersi in se stesso;

 

5 – istintivamente il figlio che subisce violenza verbale tende a proteggere se stesso dal genitore urlatore, per farlo usa le strategie che gli sono note e accessibili: mente; evita di interagire con gli altri per non creare situazioni problematiche e quindi evitare di essere sgridato; diventa taciturno; rifiuta il confronto con l’adulto di riferimento. Non di rado questi comportamenti negativi diventano comportamenti sociali (cioè il ragazzo li esporta dalla famiglia alla scuola, alla parrocchia, alla squadra di calcetto, eccetera).

 

Urlare ai figli non serve ad educarli, ma fa loro del male anche se la maggior parte dei genitori urlatori non è in nessun modo fisicamente villetta, questo il risultato di uno studio condotto da Ming-Te Wang, assistente di psicologia dell’educazione presso la School of Education dell’Università di Pittsburgh e di psicologia presso la Kenneth P. Dietrich School of Arts and Sciences di Pitt.

 

Ming-Te Wang ha condotto una ricerca su un campione di 967 ragazzi di 10 scuole medie pubbliche nell’est della Pennsylvania, i giovani adolescenti e i loro genitori sono stati monitorati per un periodo di due anni:

 

lo studio ha dimostrato che la maggior parte dei genitori diventa verbalmente violento (cioè usa una dura disciplina verbale, volendo usare la dicitura dell’autore) ad un certo punto dell’adolescenza del figlio.

 

Si cade nell’urlare in quel momento della crescita in cui il bambino non è più un bambino, ma neanche è un adulto; piuttosto in casa si urla quando il figlio è intrappolato in quella condizione di ragazzino (adolescenza) per la quale si sente sufficientemente autonomo e onnipotente da provare una sensazione di superiorità rispetto al genitore.

 

A questo punto della vita di un figlio il genitore o è un nemico o un confidente, terzium non datur. E raccogliere le confidenze del proprio figlio, guidarlo senza dargli al mano o parare i colpi in pieno petto della vita, è un’impresa titanica.

 

Ecco che il genitore, disarmato dal gap generazionale, che spesso è anche un gap comunicativo, diventa urlatore, ma urlare ai figli non serve a nulla se non ad alzare il livello di diffidenza, opposizione e contraddizione tra ragazzi ed adulti.

 

Un passaggio della ricerca è interessante: l’adulto, che pure è stato adolescente e come tale ha fatto e provato ciò che fa e prova il figlio, non riesce a minimizzare e ridimensionare il comportamento problematico degli adolescenti, anzi ne resta ferito, irritato e contrariato, da qui l’uso di una severa disciplina verbale. Ma urlare ai figli finisce con l’aggravarne i comportamenti perché i ragazzi non si sentono riconosciuta né parità né stima e si arroccano nelle loro posizioni consolidandole, così tutto si aggrava.

Urlare con i figli non serve a niente

Reazioni ai genitori urlatori possono essere atti di vandalismo o comportamento antisociali e aggressivi.

 

Nel lungo termine urlare ai figli produce gli stessi effetti dell’educazione punitiva e nello specifico delle punizioni corporali: lede alla stabilità emotiva dei figli, ne abbassa l’autostima, minimizza il confronto paritario genitore – figlio, favorisce la chiusura del ragazzo, innesca comportamenti antisociali e oppositivi.

 

La ricerca di Ming-Te Wang arriva a un assunto che colpisce al cuore i genitori più attenti: stando alle risultanze dello studio il calore dei genitori, cioè la consolazione che si dà al figlio giustificando la violenza verbale con “voglio il tuo bene”, “urlo perché tu divenga educato o sia bravo”, malgrado innalzi apparentemente il livello di amore, non è un valido sostegno emotivo e affettivo rispetto ai danni commessi dal genitore urlatore.

 

Il messaggio per cui i genitori urlano al bambino “per amore” o “per il suo bene”, secondo Ming-Te Wang, non solo non arriva al cuore del bambino ma non lenisce i meccanismi biochimici e psicologici ingenerati dalle urla.

 

Attenzione ai circoli viziosi: urlare contro i figli non risolve nessun problema.

 

È un circolo vizioso“, dice l’autore della ricerca riferendosi al fatto che spesso il genitore urla dinnanzi a ciò che classifica come comportamento problematico del figlio; l’adulto deve comprendere che urlando innesca risposte altrettanto problematiche nel bambino e rischia non solo di aggravare il problema originario ma di sommarne altri ad esso: “E’ un appello difficile per i genitori perché va in entrambe le direzioni: i comportamenti problematici dei bambini creano il desiderio di dare una severa disciplina verbale, ma quella disciplina può spingere gli adolescenti verso quegli stessi comportamenti problematici aggravandoli“.



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