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Anoressia, alimentazione forzata imposta in Inghilterra

di Mamma Licia

20 Giugno 2012

La sua storia da anoressica inizia all’età di 12 anni, quando nella sua vita comincia a manifestarsi il tipico comportamento bulimico con “abbuffate” alimentari compulsive seguite, subito dopo, da vomito autoindotto.

Contemporaneamente comincia ad abusare di alcolici e superalcolici (l’alcool induce più facilmente il vomito).

Agli episodi bulimici si aggiungono ben presto comportamenti anoressici, caratterizzati dal totale rifiuto del cibo.

Anoressia e bulimia, contrariamente a quel che comunemente si pensa, sono due fenomeni legati e che spesso vanno di pari passo. La differenza tra i due disturbi consiste nella modalità di gestione del rapporto del cibo, in entrambi i casi altamente conflittuale.

A 15 anni la ragazza entra in trattamento per la cura dei disturbi alimentari. Nel frattempo continua gli studi, vuol diventare medico e si iscrive anche all’università. Ma ecco che un trauma psichico, vissuto come insuperabile, nel suo caso una delusione d’amore, la fa ripiombare pesantemente nella malattia. Lascia l’università e inizia la sua odissea tra un centro specializzato ed un altro, nel tentativo di uscire e di guarire dalla malattia, ma senza alcun risultato.

Un disagio esistenziale che l’ha portata, adesso, a desiderare di “morire in pace”. Con queste parole, e tramite il suo avvocato, la ragazza ha spiegato a quel giudice che invece ha deciso per la tutela della sua vita che la sua esistenza è un “puro tormento” e che a nulla sono valsi i suoi sforzi per uscire dalla malattia.

Ma Mr Justice Peter Jackson non ci sta. Per lui la ragazza “è una persona speciale la cui vita è un valore. Non lo comprende adesso, ma potrà farlo in futuro”. “Viviamo solo una volta – ha dichiarato il giudice -, siamo nati una volta e moriamo una volta, e la differenza tra la vita e la morte è la più grande differenza che conosciamo”.

A causa delle sue gravissime condizioni di salute, la ragazza è stata spesso ricoverata in ospedale, ma ha sempre firmato moduli con i quali rifiutava ogni tipo di cura che potesse allungarle la vita.

Di fronte alla decisione del giudice Jackson, i genitori della ragazza difendono il suo diritto “a morire”. “Sentiamo che ha sofferto troppo – hanno detto -. Ha perso ogni speranza di raggiungere i traguardi che si era prefissata. La amiamo moltissimo, ma comprendiamo che ora il nostro compito dovrebbe essere aiutarla a lottare nel suo interesse, e al momento il meglio per lei ci sembra conquistare il diritto di seguire la strada che ha scelto”.

Al momento, appunto.

L’anoressia nervosa colpisce una donna su duecento.

La morte sopravviene sempre per cause accidentali e, nei casi di anoressia grave, come conseguenza dei danni all’organismo e delle gravi complicazioni a carico degli organi interni causati dalla malnutrizione.

L’obiettivo dell’anoressica è tenere continuamente a bada il suo corpo e controllarlo attraverso l’alimentazione, che gli nega.

E, per quanto paradossale possa sembrare, l’anoressica non ha intenti suicidi, perché l’anoressica non vuole morire. Il suo è un grido disperato, un drammatico modo di rendere visibile agli altri quel disagio interiore e quel malessere in cui è invischiata e che non riesce a comunicare con le parole.



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