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Pagella: brutti voti, il bambino va male a scuola, cosa fare?

di Mamma Simona

26 Gennaio 2011

…SE LA PAGELLA E’ UN DISASTRO…

A breve verranno distribuite le pagelle di fine quadrimestre. Che ci siano o meno problemi scolastici, per figli e genitori, le pagelle sono un traguardo importante, un sunto del lavoro svolto dai ragazzi negli ultimi mesi. Qualche bambino le teme, in quanto specchio di un comportamento didattico o educativo non proprio tra i più ambiti… Già, ma come si deve comportare un genitore quando la pagella del proprio figlio non è come ci si augurava che fosse?

Prima di tutto la pagella va analizzata e bisogna cercare il motivo dell’insuccesso, considerando il bambino nella sua individualità, nella relazione con gli insegnanti e con i compagni. Spesso il “brutto” voto a scuola è segnale di un disagio che trova la sua manifestazione nello scarso rendimento scolastico. Le cause di disagi sono tantissime, strettamente legate ai meccanismi su cui si sviluppa la vita del bambino.

Vediamo un po’ quelle più comuni:

  • Il passaggio dalla scuola materna alle elementari, o dalle elementari alle medie è sempre un “trauma”. Cambiano le metodologie, i punti di riferimento, ovvero gli insegnanti, i compagni; vengono richieste performance maggiormente strutturate; ci si approccia allo studio (alle elementari) o ancora si assiste ad un aumento della mole di studio, si trovano diversi professori che cambiano ogni ora, così come cambia la materia (alle medie). I mutamenti sono forti ed ogni bambino ha i suoi tempi necessari per abituarsi. Quando il bambino necessita di un periodo dilatato di adattamento, il rendimento scolastico può risentirne.
  • E’ un periodo difficile nella vita del bambino: è accaduto un evento che deve ancora metabolizzare (separazione dei genitori, morte di un parente, ecc…), non ha amici, è spesso solo, ecc…numerosi possono essere i motivi per cui il bimbo si trova a combattere contro la tristezza, canalizzando in questa operazione tutte le sue energie, ecco dunque che la concentrazione verso lo studio può venire meno.
  • L’insuccesso è un metodo di opposizione. Ovvero la disattesa delle aspettative del genitore, magari troppo pressanti, in un momento di forte conflitto genitore-figlio, è una presa di posizione. Vale la pena sindacare quelli che sono i legami in famiglia e le dinamiche da sanare.
  • La pressione scolastica da parte dei genitori che incalzano i figli perché abbaino voti alti, è sicuramente dannosa. Il rischio è che il bambino percepisca che è più importante un bel voto piuttosto che applicare e apprendere la materia stessa. Meglio un 6 che rispecchia le capacità giuste del bambino, piuttosto che un 8 preso non per uno studio continuo ma per l’exploit di impegno di due giorni….
  • In una famiglia dove tutti sono “bravi”, il brutto voto può servire a trovare una propria collocazione, a stabilire una propria individualità “Io sono me stesso e non vengo totalmente assorbito dalla globalità della famiglia”.
  • Il bambino, magari per uscire da una sua timidezza che lo isola un po’, vuole sentirsi coinvolto ed apprezzato nel gruppo di compagni che vanno male a scuola ma che sono molto trendy, perché risultano simpatici e riscuotono successo tra i pari.
  • Al momento vive un’affermazione in altri ambiti (per esempio una disciplina sportiva) che lo soddisfa e dove canalizza le proprie potenzialità maggiormente, a discapito della scuola.

E dunque…il genitore come si può comportare? Come dovrebbe agire per aiutare il figlio?

Vale la pena sdrammatizzare piuttosto che punire.

Il peso che un bambino in crescita, a maggior ragione se per-adolescente, deve sopportare è ingente. Il bambino non è felice della sua carente situazione scolastica e non la ignora, sebbene con voi possa fingere che sia così. Io non credo molto nel menefreghismo. Sono esperienze quotidiane quelle vissute a scuola e dunque per forza di cose subiscono da parte del bambino un processo di rielaborazione, tanto più quando sono dure e insoddisfacenti.

E’ giusto far capire al bambino l’importanza dello studio e che suo compito è quello di impegnarsi, studiare perché deve costruirsi le basi per il suo domani….ma non bisogna farne un dramma.

I drammi portano i bambini, già fragili perché con una personalità emotiva in fase di costruzione e dunque non strutturata, a sentire dolore, ansia, a vedere davanti a se le porte chiuse….e questo non va per nulla bene; il bambino deve sempre essere cosciente che c’è sempre la possibilità di un cambiamento positivo, altrimenti il rischio è la depressione. Nella società di oggi non è così anomalo trovare bambini depressi, sebbene fortunatamente costituiscano eccezioni.

Le lacune sono recuperabili, nulla è perduto, nel secondo quadrimestre si ha tutta la possibilità di migliorare.

Mostrare al figlio che ci può essere un’evoluzione, che i cambiamenti in meglio sono possibili, fargli capire che ha le possibilità per riuscirci, significa passargli un messaggio di positività che alimenta la sua autostima e gli dà quell’input necessario e quel “rinforzo” così utile per affrontare con determinazione, volontà e serenità la situazione scolastica e lavorare per il recupero.

Fissare un colloquio con le insegnanti o con i professori delle materie più “deboli” può aiutarci a capire se esistono dei problemi e delle difficoltà strettamente legati alla particolarità della materia. Chiedere all’insegnante un consiglio su come aiutare il bambino a migliorare, è un approccio giusto e costruttivo.

Un altro modo per supportare il bambino in difficoltà è quello di aiutarlo ad organizzare il suo tempo. Si possono stabilire tempi per lo studio e per lo svago abbastanza rigidi, che prevedano delle piccole eccezioni (per es. la festa di compleanno dell’amico) ma che vadano per la maggiore rispettati.

L’aiuto pratico del genitore è sempre auspicabile quando il bambino ha qualche problema con lo studio. Dedicargli del tempo per ascoltarlo nella ripetizione della lezione imparata, per esempio ha un doppio ruolo di ripetizione ad una persona che ascolta e infonde sicurezza con la propria presenza. Laddove questo non sia possibile, magari a causa del lavoro dei genitori, ci si può rivolgere a una terza persona. In ogni caso è sempre importante che il genitore si interessi della scuola, andando a controllare i quaderni, chiedendo che cosa ha fatto il bambino a scuola, controllando il diario e le comunicazioni. Date alla scuola e al lavoro di vostro figlio una giusta e meritata importanza.

Per un consiglio su come affrontare i compiti a casa, vi suggerisco questi articoli:

Dedicare tempo allo studio del figlio, non significa sedersi accanto a lui e monitorarlo costantemente nello svolgimento dei compiti. Questo è un atteggiamento sbagliato e deleterio per l’autonomia del bambino, che in questo modo si sente sempre più dipendente dalla presenza del genitore. Bisogna avere fiducia nelle capacità del bambino ed intervenire in un secondo momento, passando il messaggio “ci sono, ma ho fiducia in te”.

Non etichettate il bambino “in matematica non sei bravo!” piuttosto spronatelo a fare meglio, perché le capacità ci sono.

Complimentatevi con il bambino quando migliora. Non ci aspettiamo che porti subito a casa un 10 per compensare un 4; saranno i piccoli miglioramenti in crescita che lo renderanno consapevole e padrone della materia.

Noi siamo per i nostri figli, dei modelli imperfetti. Anche noi a scuola abbiamo avuto le nostre difficoltà e abbiamo incespicato durante il percorso, chi più, chi meno….perché nasconderlo al figlio? Non proponiamoci come modelli di una perfezione che non ci appartiene. E’ giusto che il bimbo sappia che la mamma non andava bene in matematica, ma ciò non vuol dire che per questo lui si senta legittimato a seguirne l’esempio o che ciò funga da scusante. E’ ciò che accade nella vita di tutti i giorni, a volte lavoriamo con più successo, altre siamo più demotivati per mille ragioni. Tutto cambia, i giorni sono tutti diversi l’uno dall’altro e nulla è immutabile, per sempre. Proprio come la situazione scolastica: un 4 in matematica può cambiare in un 5 o magari in un 6…..

Non paragoniamo i risultati di nostro figlio con quello di fratelli, amici, parenti….non c’è scopo positivo ma solo una demoralizzazione che si traduce nel complesso di non sentirsi all’altezza.

Fare regali per bei voti è un meccanismo complicato, improduttivo e non aiuta la crescita del bambino. Il bambino deve studiare per se stesso e non per i regali. Con questo non si escludono delle gratificazioni per lo sforzo impiegato nel miglioramento, per la determinazione, più che per il bel voto, che possono anche tradursi in un premio, ma deve essere un’eccezione non un modus operandi.

Con questi piccoli accorgimenti, il rendimento scolastico del bambino dovrebbe migliorare….e se ciò non succede? Se il bambino proprio non riesce a concentrarsi, ha un livello di autostima talmente basso che non si mette più in gioco rifiutandosi di studiare?

In simili situazioni, forse è il caso di andare a capire che tipo di difficoltà si cela dietro a questo atteggiamento di rifiuto, che spesso è la manifestazione di un disagio difficile da superare, sebbene non impossibile. In tal caso un intervento dallo psicoterapeuta per un consulto può servire per sbloccare questo incaglio, superando il momento “no” e recuperare così l’armonia per procedere più serenamente, acquisendo un atteggiamento positivo nei confronti dello studio.




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