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Sarah Scazzi: Sabrina e Cosima Ancora in Aula per il Processo d’Appello, Ultime Notizie

di Federica Federico

12 Novembre 2014

SCAZZI processo omicidio

Sarah Scazzi – il processo per l’omicidio di Avetrana pende ancora dinnanzi alla corte d’Assise e d’Appello di Taranto; accusa e difesa continuano a dibattere per stabilire la “verità” sulla morte della giovane Sarah.

Sarah aveva 15 quando fu uccisa, quando fu rinvenuta cadavere, nuda, in posizione fetale ed abbandonata impietosamente in un pozzo tra le campagne di Avetrana.

Non si può morire così a 15 anni; non si può morire per la gelosia e nemmeno per la bellezza di un corpo che sta fiorendo; non si può morire sole e nel mistero quando, infondo, si è ancora e solo una bambina.

Queste sono le uniche certezze che restano all’osservatore comune del caso Scazzi.

Ad oggi, la verità crismata dalla legge sarebbe quella fissata nella sentenza del 20 aprile 2013 dalla Corte d’Assise di Taranto.

Cos’ hanno stabilito i giudici?

Secondo detta disposizione giudiziale ad uccidere Sarah sarebbero state Sabrina, la cugina, e Cosima, la zia.

Il rapporto tra le cugine era intimo, le due condividevano tempo e spazi, amicizie ed interessi; zia Cosima, invece, è la sorella della madre di Sarah, negli anni, questa donna, aveva cresciuto la nipote accogliendola in casa sua apparentemente con sincero e vivo affetto.

Sabrina e Cosima, considerate dal collegio giudicante come le assassine, sono state condannate all’ergastolo.

Michele Misseri, rispettivamente papà di Sabrina e marito di Cosima, invece, è stato ritenuto responsabile “solo” dell’occultamento del cadavere (operazione che, tra l’altro, non avrebbe messo in atto da solo).

Il contadino di Avetrana, che inizialmente si era auto-accusato del delitto, facendosi carico di tutte le responsabilità conseguenti, oggi, stando all’ultima sentenza, è considerato estraneo all’avvenimento dell’omicidio:

Michele Misseri non avrebbe assolutamente partecipato all’azione che determinò il decesso della nipote e sarebbe stato chiamato in causa solo dopo, quindi avrebbe scoperto della morte di Sarah solo “a tragedia consumata”.

Di fatto fu zio Michele a condurre gli inquirenti al rinvenimento del cadavere ed è a lui che va attribuita la sola ricostruzione del delitto suffragata dagli indizi, detta versione è, poi, quella descritta nell’ultima sentenza.

Ebbene, malgrado la sopra citata sentenza, il caso Scazzi non si è chiuso con la decisione giudiziale del 20 aprile 2013. Il 14 novembre prossimo in aula compariranno nuovamente tutte le parti in causa, l’appuntamento è presso la Corte d’Assise e d’Appello di Taranto.

Sabrina e Cosima continuano a professare la loro innocenza.

I legali di Sabrina, oggi 26 anni, hanno provato a chiedere, per la loro assistita, gli arresti domiciliari, ma la misura detentiva alternativa al carcere le è stata negata. La ragazza è dimagrita considerevolmente e, stando alle considerazioni del collegio difensivo, l’evidente perdita di peso dipenderebbe tutta dalla pesante condizione carceraria.

E’ probabile che la difesa chiederà di riaprire la fase istruttoria, proponendo, in questo modo, la ricerca di nuove prove. Cosa accadrebbe se la Corte accettasse tale proposta?

Un nuova fase istruttoria allungherebbe oltremodo i tempi processuali.

Secondo la difesa Sabrina è innocente. Potrebbe esserlo?

Il collegio difensivo sostiene che l’alibi di Sabrina sarebbe rappresentato dagli sms che la giovane scambiò con un’altra amica che quel terribile 26 agosto 2010 doveva andare al mare insieme alle due cugine, quei messaggi collocherebbero Sabrina in casa Misseri dopo le 14,28.

Fin ora, però, gli sms, da sempre emersi in fase dibattimentale, non sono stati mai considerati come un alibi di ferro.

C’è una novità che rappresenta (o rappresenterebbe) un vero colpo di scena:

– legalmente il processo non è chiuso, pendono i termini per chiuderlo ovvero per concludere l’iter dinnanzi alla corte d’Assise e d’Appello e arrivare alla sentenza;

– nelle more di questi termini Cosima e Sabrina restano in custodia cautelare in carcere (ovvero in attesa della sentenza rimangono in stato di detenzione). Ma la custodia cautelare ha un termine massimo di durata e per le due donne di Avetrana, detto termine, arriverà a scadenza il 20 gennaio 2015. Se il processo d’appello non si chiuderà entro detta data c’è il rischio concreto che le donne possano lasciare il carcere ed essere giudicate “a piede libero”.

Fonte: Giallo, Cairo Editore n°45 del 12 novembre 2014



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