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Mamma ansiosa

di Dott. Giuliano Gaglione

06 Ottobre 2011

 

Mamma ansiosa, mamma chioccia o mamma apprensiva …

Essere una madre troppo ansiosa vuol dire vivere (o convivere) con la costante preoccupazione che l’incolumità del figlio sia in pericolo, vuol dire porre un “filtro di paura e angoscia” tra se, il bambino e la vita.

L’eccesso d’ansia si traduce in “una minaccia” per la crescita del figlio quando i timori della mamma divengono guinzagli, legacci o limiti …

… quando il genitore esclama continuamente: “Stà attento!”.

L’attenzione è fondamentale, spesso è importante alzare la soglia di concentrazione dei bambini e verso i bambini, sovente bisogna insegnare ai piccoli come distinguere i pericoli e in che modo intuirli, tuttavia un atteggiamento di paura costante della mamma può essere imitato dal figlio e divenire per lui un limite: il bambino può sviluppare una tensione negativa verso la vita e soprattutto verso le novità che l’esistenza gli propone di affrontare.

 

Dunque come gestire ansia e stress e come non trasmetterli ai bambini? Rivolgiamo questa domanda allo psicologo di Vita da Mamma, il Dottor Giuliano Gaglione:

Essere una famiglia significa vivere e viversi come nucleo formatosi per puro destino, un destino diventato gioia, amore, vita. Il nucleo familiare rappresenta la linfa vitale che permette a qualunque membro di crescere e svilupparsi contornato da un sistema costantemente attento affinchè ogni passo venga effettuato nella maniera più equilibrata possibile e coerente con le proprie aspettative.

Senza la presenza di radici solide, con difficoltà possono nascere frutti gradevoli”.

Questa frase è rivolta a tutti coloro che non rispecchiano un’ideale di famiglia in cui si instaurino relazioni equilibrate e volte ad una crescita serena e benefica per ogni suo membro: la vita ci mette spesso dinanzi a degli ostacoli duri da affrontare e se non vi sono delle basi solide trasmesse dal proprio nucleo di appartenenza, difficilmente si possono esternare determinate risorse in grado di poter affrontare ogni evenienza.

Una categoria genitoriale è rappresentata da madri e padri spesso troppo premurosi, i quali non riescono a raggiungere momenti di pace e tranquillità perché costantemente preoccupati per le conseguenze negative di determinate azioni svolte dai propri piccoli; in particolare questa loro eccessiva cura nei loro confronti si traduce in ansia, paura, preoccupazione che viene spesso inconsapevolmente trasmessa ai propri piccoli nel momento in cui intimano loro, con toni in cui traspare inquietudine, di effettuare determinati compiti con attenzione, di evitare di raggiungere determinati luoghi o determinate persone e così via.

Personalmente definisco la sfera infantile come una “spugna”: in particolare questi piccoli individui, nonostante siano dotati di caratteristiche assolutamente personali, sono tuttavia in grado di assorbire non solo il contenuto delle frasi pronunciate dai propri genitori, ma anche il modo in cui lo trasmettono, per cui, nel momento in cui vi sono madri e padri eccessivamente apprensivi, i bambini assorbono questa forma mentis e tendono ad assumere nel corso del tempo atteggiamenti analoghi a quelli genitoriali.

Questo processo di crescita non è scevro da alterazioni psicofisiche che il giovane subisce nel corso del tempo: difatti quando si crea questo legame diventato simbiotico, perché altrimenti creerebbe disagio a tutti i membri della famiglia, ci si può imbattere in circostanze in cui il piccolo difficilmente riesce a distaccarsi dal nucleo familiare: vedasi i primi giorni di scuola, le gite scolastiche ed anche il momento in cui il giovane è pronto per allontanarsi dal tetto genitoriale ed affrontare le proprie giornate in piena autonomia.

In realtà, escludendo i casi in cui le relazioni familiari sono praticamente nulle, ogni individuo, anche da adulto, nel momento in cui si approccia a realtà che non prevedono la presenza fisica dei genitori, si sentirebbe maggiormente al sicuro e protetto se condividesse ancora qualche tempo tra i palmi familiari: a tal proposito affermo che, nonostante queste persone siano in grado di distaccarsi da questo nucleo e abbiano quindi tagliato “il cordone ombelicale”, c’è sempre un collegamento “wireless” che li unisce.

Le difficoltà di svincolo, ovvero la sensazione di non riuscire proprio a vivere autonomamente, affondano le proprie radici in uno stile genitoriale caratterizzato indubbiamente da questo senso, a volte eccessivo, di protezione inteso sia come modo per trasmettere amore, sia come sistema per placare alcuni stati angosciosi; in tal senso, qualora ve ne sia la possibilità, consiglio di evitare frasi quali: “Per qualunque minima necessità chiamami!” e sostituirle con: “ Se hai difficoltà, vedi se ci riesci da solo, se proprio non ce la fai, chiamami!”; in tal modo sin da quando si è piccoli si stimola nel bambino un senso di autonomia che gli sarà indiscutibilmente utile nel futuro, potendo tuttavia servirsi eventualmente anche di un’ancora di salvezza a cui attingere nei momenti di maggiore difficoltà.



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