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Neonato morto al Pertini di Roma: testimonianza di una compagna di stanza

Neonato morto al Pertini di Roma, la testimonianza di una compagna di stanza della mamma vittima di un colpo di sonno. Indiscrezioni stampa.

di Federica Federico

30 Gennaio 2023

Neonato morto al Pertini di Roma

La madre del neonato morto al Pertini di Roma non è solo una mamma orfana di figlio, è una donna dilaniata dalle circostanze. 

 

Le circostanze sono cruciali in questa vicenda e senza voler entrare nel merito delle responsabilità:

  • 17 ore di travaglio;
  • la narrativa della madre sempre forte che induce ciascuna donna a scavare oltre la fatica pur di stanare la forza necessaria per restare vigile;
  • il dolore del parto, i punti che tirano e bruciano, la carne che non cede e il sangue;
  • lo scompenso ormonale; la solitudine che si fa cocente quando e se accanto alla mamma manca una figura di supporto. 
 

Il dolore della maternità portato alla scoperto dal neonato morto al Pertini di Roma

Mentre resta, all’osservatore lucido, la sensazione consapevole che tutto questo dolore poteva essere evitato, la comunità delle mamme si stringe intorno al neonato morto al Pertini e lascia fluire il dolore della maternità. Questo dolore, questo lato oscuro dell’essere mamma improvvisamente (se non finalmente) ha preso forma dinnanzi agli occhi di tutti, ha assunto rilevanza e imposto una posizione.

 

Insomma è solo un’illusione l’immagine da mamma perfetta di Kate Middleton sulle scale del St. Mary’s Hospital di Londra, ovviamente dopo che la sua sarta personale e il trucco e il parroco hanno contribuito alla spettacolarizzazione di una maternità senza ostacoli. Come sono solo illusorie le immagini patinate di molte mamme VIP pronte a tornare come prima (e come se nulla fosse mai accaduto) appena dopo aver “liberato” la pancia dall’inquilino e averlo traslocato nel mondo. Non è tutto così semplice per la mamma comune:

 

intorno alla costruzione della maternità c’è fatica, lacrime, sacrificio, abnegazione, rinunce e tutto questo merita rispetto.

 

Neonato morto al Pertini di Roma: una compagna di stanza testimone della morte del bambino

La mamma ricorda solo di essere stata trasportata in un’altra stanza e lì di avere ottenuto la più dolorosa e tragica verità restituita dalle parole di un’infermiera: il suo bambino non c’era più. 

 

Quel figlio aveva solo 3 giorni ed erano tre notti che la madre non dormiva reduce da 17 ore di lavoro per il parto (tale è il travaglio: un lavoro, un impegno fisico e d emotivo di corpo e mente verso la nascita). Quel figlio era tra le sue braccia e al suo seno quando tutto è accaduto. Immaginate di svegliarvi ed essere catapultate nell’incubo peggiore possibile, questo è quanto accaduto a questa donna. Questo è quanto potrebbe accadere ad ogni genitore esausto.

 

Ma nella stanza della sua degenza la mamma del neonato morto al Pertini non era sola, erano occupati altri 3 letti e, stando a quanto emerge dalle fonti stampa, proprio da uno di questi letti è stato diramato l’allarme: “Ho chiamato io l’infermiera”, avrebbe dichiarato una delle degenti della stanza.

 

Mai più mamme orfane del loro neonato

È il rooming in sotto accusa? No, purché la sua responsabilità non sia lasciata solo in capo alla neomamma ammettendo, altresì, che questa non è una creatura sovraumana e infaticabile.

 

In medio stat virtus e, probabilmente, la migliore assistenza alle mamme, tenuto conto dell’importanza della prima relazione col bambino, potrebbe consistere nell’offrire un servizio misto nursery-rooming in, a seconda dell’impegno del parto, della ricaduta sul fisico della mamma, delle sue condizioni di salute generale e ”banalmente” della sua resistenza. 

@montessorianamente.mamma La maternità non è solo gioia, felicità e bellezza, basta con la narrativa della “Mamma Madonna” #vitadamamma #mammachefatica #parto #travaglio #esseremamma #neonato #partorire ♬ Quiet meditation music – Jun Naotsuka
 

Nemmeno è direttamente sotto accusa l’assenza di un accompagnatore della partoriente, laddove, però, i reparti di maternità dovrebbero persino favorire il coinvolgimento dei papà, dei nonni, delle zie e di chiunque sia legato a intimo affetto con la mamma.

 

Il lato oscuro della maternità non è né una colpa né una debolezza

Ciò che più va rimesso in discussione è la narrativa della maternità: dopo il parto in modo particolare, ma anche in un incommensurabile numero di circostanze della nostra vita da mamme, noi donne siamo estremamente vulnerabili. 

 

Il peso della responsabilità della venuta al mondo di un bambino, soprattutto quando è ancora un peso fisico che si percepisce sotto la pressione delle ferite che il parto ha lasciato, non è un sigillo divino da accettare con abnegazione e nemmeno ci rende insensibili alla fatica. La donna è esposta a una pressione enorme a fronte della quale la vulnerabilità, di cui sopra, va non solo riconosciuta ma sdoganata dall’idea che sia sinonimo di fragilità o inadeguatezza.

 

Diciamolo una buona volta e che sia chiaro a tutti: le mamme si stancano, cedono al sonno e alla fatica e avere bisogno di dormire, di due braccia di riserva, di una doccia o di un supporto non fa di noi mamme deboli, cattive o inadeguate! Le madri hanno il diritto al riconoscimento della loro umanità, l’essere capaci di sintesi o il tanto decantato multitasking, volendo assecondare un termine diffusamente associato alle mamme moderne, non deve diventare una trappola o l’equivalente di uno stereotipo sociale.

 

Oggi la libertà delle donne passa per il riconoscimento della nostra umanità, fallace, debole, bisognosa di supporto ma non per questo sacrificabile come è accaduto alla mamma del neonato morto al Pertini.



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