Un avvenimento che ha scioccato tutta l’Italia, una tragedia privata che per la prima volta fu spettacolarizzata in diretta televisiva dando così origine a quella che oggi viene più comunemente chiamata la “tv del dolore”.
Protagonista di quel dramma il piccolo Alfredino Rampi precipitato in un pozzo artesiano, qui troverà ad attenderlo la morte, sopraggiunta dopo un’agonia durata 60 ore.
Alfredino Rampi: la tragedia di Vermicino
Era l’estate del 1981, il piccolo Alfredo Rampi, a tutti noto come Alfredino, stava trascorrendo le vacanze estive nella seconda casa di famiglia, situata a Finocchio, frazione di Roma, in via Vermicino. Insieme a lui c’erano papà Ferdinando, mamma Francesca, il fratellino di 2 anni Riccardo e la nonna paterna Veja.
Le giornate trascorrevano tranquille, nessuno immaginava che a breve si sarebbe consumata in diretta televisiva un’immane tragedia rimasta scolpita nella memoria di milioni di telespettatori che, come in un vero e proprio grande fratello, hanno assistito alla lenta morte di un bambino di 6 anni, triste evento che ha lacerato i cuori dei suoi genitori, e non solo.
Tutto ebbe inizio la sera del 10 giugno quando, dopo le ore 20:00, i coniugi Rampi, non vedendo rincasare il figlio Alfredo, iniziarono a cercarlo nei dintorni ma senza successo. Decisero così di allertare le forze dell’ordine.
Sul luogo accorsero la Polizia, i Vigili del fuoco e quelli urbani, le unità cinofile e gli abitanti del posto, tutti impegnati nell’affannosa ricerca del bambino.
L’idea di ispezionare un pozzo artesiano situato nelle vicinanze fu di un agente di polizia, Giorgio Serranti, che, dopo aver fatto rimuovere la copertura di lamiere posta sopra l’imboccatura del pozzo, si affacciò personalmente nella speranza di riuscire a percepire qualcosa. Fu così che sentì la flebile voce di Alfredino Rampi, caduto in quel buco profondo e buio che famelico lo aveva inghiottito.
Solo in seguito si scoprirà che il pozzo fu coperto con la lamiera dal suo proprietario verso le ore 21:00, del tutto inconsapevole che al suo interno vi fosse rimasto intrappolato un bambino.
Da quel momento in poi ebbero inizio le operazioni di soccorso che apparirono sin da subito complicate e di non facile soluzione. Per prima cosa si cercò di localizzare il bambino calando all’interno del pozzo una lampada che permise di rilevarne la presenza a circa 36 metri di profondità.
L’esigua ampiezza dell’imboccatura e l’irregolarità delle pareti del pozzo artesiano scoraggiarono i soccorritori nel valutare l’ipotesi di calarvi qualcuno al suo interno per poter liberare Alfredino Rampi. Fu così calata una tavoletta di legno legata ad una corda che avrebbe dovuto raggiungere il bambino che, aggrappandosi ad essa, sarebbe poi stato tirato su.
Purtroppo la tavola, la cui corda si spezzò nel tentativo di riportarla in superficie, rimase incastrata tra le pareti del pozzo ad una profondità di circa 24 metri, ostruendo parte del passaggio e rendendo ancora più difficili i soccorsi.
Si pensò allora ad un piano alternativo che consisteva nello scavare un tunnel parallelo al pozzo e, una volta raggiunta la stessa profondità in cui si trovava il bambino, scavare un cunicolo parallelo che congiungesse i due pozzi.
La mattina dell’11 giugno giunse sul luogo del ritrovamento una sonda perforatrice, Alfredino Rampi era cosciente e vigile, parlava con i soccorritori attraverso un’elettrosonda a filo che alcuni tecnici della Rai, arrivati a Vermicino per documentare il dramma, avevano calato nel pozzo affinché si potesse comunicare con il piccolo.
I soccorritori iniziarono così a scavare il tunnel parallelo non senza incontrare difficoltà. La diversità del terreno, in alcuni punti morbido e friabile in altri duro e compatto, rallentò di molto l’operazione.
Verso le ore 10:00 del 12 giugno, a più di un giorno dall’inizio degli scavi, si raggiunse nel pozzo parallelo una profondità di circa 30 metri, una misura ritenuta sufficiente per poter realizzare il tunnel che l’avrebbe congiunto all’altro. Le operazioni di soccorso vennero così accelerate, le condizioni di Alfredino Rampi, che soffriva di una cardiopatia congenita, stavano infatti peggiorando.
Fu a quel punto che il capo dei Vigili del Fuoco affermò impulsivamente che a breve tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. Ciò spinse la troupe televisiva presente sul posto ad avviare una diretta televisiva così da poter documentare il grande salvataggio.
Ma così non fu! Ulteriori imprevisti dei quali nessuno aveva tenuto conto prolungarono l’agonia fino a quel momento resa pubblica solo da piccoli e brevi servizi trasmessi durante i tg. Da quell’istante la tragedia diventò spettacolo, complice la più lunga diretta televisiva della storia a reti unificate (tutti i canali Rai la trasmisero), durata quasi 18 ore ed ultimata con il triste annuncio della morte di Alfredo.
Un interesse mediatico che crebbe ancor più con l’arrivo in loco dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini che, grazie all’elettrosonda dei tecnici Rai, riuscì a parlare con il bambino nel tentativo di infondergli coraggio.
I soccorritori completarono il tunnel di collegamento alle ore 19:00 del 12 giugno, avevano raggiunto una profondità di 34 metri che, nonostante le previsioni, si rivelò insufficiente.
Forse a causa delle vibrazioni provocate dagli scavatori, Alfredino Rampi era scivolato più in basso di altri 30 metri.
A quel punto si tentò l’impossibile! Alcuni speleologi ma anche diversi volontari tra cui nani, contorsionisti, fantini ed acrobati, persone minute e dal corpo esile, tentarono di raggiungere il piccolo facendosi calare nel pozzo.
Il volontario Angelo Licheri fu tra i pochi che riuscì a raggiungerlo. Calato a testa in giù per 60 metri, si avvicinò al bambino e tentò di legarlo con un’imbragatura che purtroppo continuava ad aprirsi. Disperato cercò di tirarlo su afferrandolo per le braccia, rompendogli involontariamente un polso, ma Alfredo scivolò ulteriormente.
Esausto e allo stremo delle forze, Licheri fu riportato in superficie.
Alle ore 5:00 della mattina del 13 giugno fu calato nel pozzo lo speleologo Donato Caruso che, come Licheri, riuscì ad arrivare al bambino ma anche il suo tentativo di imbracarlo fallì. Caruso tentò una seconda volta ma invano. Una volta tornato in superficie, fu lui a dare la triste notizia del probabile decesso di Alfredino Rampi.
Il bambino venne più volte chiamato dalla madre che non ottenne risposta. Nel primo pomeriggio venne calata nel pozzo una telecamera grazie alla quale venne localizzata la sagoma di Alfredo, il bambino era completamente immobile e non respirava più.
Annunciata la morte presunta, il pozzo fu riempito di gas refrigerante così da poter conservare il piccolo corpicino, recuperato poco meno di un mese dopo, l’11 luglio, da tre squadre di minatori.
La morte di Alfredino Rampi ha segnato un’intera generazione.
Io avevo solo 4 anni ma ricordo perfettamente lo sguardo di mia madre mentre preoccupata guardava con attenzione le immagini in tv.
Come lei milioni di telespettatori hanno atteso e pregato per un lieto fine, una speranza che si è dissolta in diretta televisiva, tra le lacrime e la disperazione generale.
La tragedia di Vermicino suscitò diverse polemiche, soprattutto si discusse molto sulla confusione e la poca organizzazione dei soccorsi che dovettero prendere decisioni immediate e talvolta affrettate. Ciò ha portato alla consapevolezza della necessità di un’organizzazione preparata ad affrontare situazioni di emergenza come questa, ruolo oggi ricoperto dalla Protezione Civile.