Tra le frasi ricorrenti delle mamme, quelle che seguono rappresentano le più comuni richieste di aiuto: “Mio figlio non capisce i rimproveri; non mi capisce; non capisce quello che dico” oppure “Mio figlio non mi considera” o anche “Perché mio figlio non mi capisce?“
Nella mia esperienza di blogger mi è capitato spesso di leggere sfoghi simili a questi, infatti non è inusuale che le mamme si preoccupino di non essere capite dai bambini e di conseguenza si sentano inadeguate e incapaci di trasmettere ai figli le giuste regole.
Mio figlio non mi capisce, cosa posso fare?
La comprensione reciproca è una questione d’età.
A questa tappa della crescita del bambino (che possiamo definire acquisizione di empatia), e che dobbiamo interpretare in relazione al mondo esterno, e non solo alla mamma o al papà, viene persino data una spiegazione psicologica teorica:
i libri di pedagogia e psicologia del pensiero danno ai capitoli a ciò dedicati il titolo di “Teoria della mente”.
Di che si tratta e come la “Teoria della mente” può aiutarci nella ricerca di una risposta alla domanda “Perchè mio figlio non mi capisce?”
Immaginate un bambino piccolo che “per scomparire alla vista degli altri” si mette le mani davanti agli occhi, che lo faccia per gioco o per rabbia, il bimbo coprendosi gli occhi è sicuro di non essere visto, si sente “nascosto” e “solo”.
Questo semplice esempio ci consegna una prima risposta ai nostri quesiti, ovvero perché i bimbi non capiscono sempre gli adulti, le loro indicazioni e i loro “comandi”. La causa delle incomprensioni può stare nell’egocentrismo del bambino: i bimbi fino ai 4 – 5 anni sono incapaci di vedere e interpretare il mondo e le emozioni in un modo differente da ciò che loro percepiscono.
Mettendosi le mani davanti agli occhi il bambino non vede più niente e non ha la maturità per immaginare che il resto del mondo continui ad esistere e che gli altri continuino a vederlo, la sua mente è immatura per prescindere dalle proprie sensazioni e emozioni e il bimbo non è ancora capace di guardarsi dall’esterno.
Su queste basi, possiamo dare a noi stessi una prima risposta alla domanda “Perché mio figlio non mi capisce”:
se il bimbo è molto piccolo non potrà capire tutto ciò che implica e pretende uno “sguardo esterno” sulle cose. In questo senso, nè sarà capace di mettersi nei panni degli altri, nè riuscirà a prevedere le più complesse conseguenze delle sua stesse azioni, nè arriverà a visioni di insieme o potrà possedere concetti astratti.
Pertanto la migliore spiegazione delle cose del mondo che possiamo fornire a un bimbo piccolo dovrà partire dai sentimenti e dalle percezioni del bambino stesso.
Il suggerimento è di non dare per scontate le posizioni di noi grandi, senza mai partire dai sentimenti, dalle percezioni e dalle regole del mondo adulto.
Ritorna qui il principio montessoriano dell’ “abbassarsi a livello del bambino” guardando il mondo dalla sua altezza e dalla sua prospettiva, vincendo, così, ogni pregiudizio adultistico.
– Non mettere le dita nel naso perché è cattiva educazione,
una simile frase, quando viene pronunciata dinnanzi a un bimbo piccolo, può, per esempio, non sortire nessun effetto nel lungo termine.
Cerchiamo di chiarire il perché:
il concetto di cattiva educazione è “una sintesi astratta di un complesso di regole formali”, siccome il bambino è immaturo e ha poca esperienza per possedere questa visione di insieme, il rischio è che il richiamo resti incomprensibile al bambino.
Nei libri di psicologia del pensiero si legge che tra i 5 e i 6 anni i bambini acquisiscono la capacità di attribuire stati mentali ad altri, che significa? E perchè questo passaggio cambia i presupposti della comprensione mamma\papà è bambino?
Tecnicamente significa che a quella età i bimbi maturano la cosiddetta teoria della mente; fattivamente vuol dire che scoprono che coprendosi gli occhi non sono spariti, capiscono che esistono le bugie cioè le falsificazioni della realtà e, in chiave positiva, comprendono che anche l’atro ha dei pensieri, dei bisogni e delle aspettative e incominciano anche ad adattarsi. In due parole, chiare e sintetiche, il bambino diventa meno egocentrico.
– Mio figlio non mi capisce mai, pure essendo diventato grande.
Che fare?
I genitori moderni hanno una certa tendenza ad adultizzare i bambini, spesso questa necessità di renderli autonomi e grandi dipende da esigenze lavorative e dal poco tempo che mamma e papà riescono, loro malgrado, a dedicare alla famiglia.
Tuttavia le tappe della crescita cerebrale e intellettiva del bambino non vanno perse di vista, questo vale anche per evitare incomprensioni e lacune relazionali col figlio.
Mio figlio non mi capisce mai, che fare per arrivare al suo cuore?
La psicologia ci dice che il bambino incomincia a capire il pensiero altrui tra i 5 e i 6 anni quando sviluppa una teoria della mente, cioè arriva a un pensiero di ampio respiro che trascende lo stretto ambito dell’ “Io e solo Io”. Lo abbiamo spiegato poc’anzi.
Ma quella della mente, cioè la percezione del pensiero dell’altro, è solo una teoria, questa definizione (di teoria) ha un valore specifico: quello che l’altro pensa e intende non è tangibile, il pensiero altrui è solo interpretabile e ipotizzabile, ovvero è teorico. Perché il bimbo attribuisca al pensiero altrui il giusto senso è necessario che l’adulto sia, in relazione al bimbo, chiaro ed esplicito che abbia parole congrue alle azioni.
Torna qui l’importanza dell’essere adulti di buon esempio: se il genitore vuole educare il figlio a esprimersi in modo corretto non può, lui per primo, scadere nel turpiloquio, giusto per fare un esempio tra tanti.
La crescita mentale di un bambino è “indirettamente” sotto gli occhi dei genitori:
fino ai 6 mesi, per esempio, il genitore può constatare che il bambino entra in reazione con una cosa per volta, per cui si crea una relazione che coinvolge o bambino e persona oppure bambino e oggetto.
Questo dualismo dimostra che l’orizzonte del bimbo è ancora limitato.
Dopo i 6 mesi, invece, lo spazio di interesse coordinato si amplia e il bambino riesce a relazionarsi contemporaneamente a una persona e a un oggetto, questa “triangolazione” rappresenta il momento in cui il bambino sperimenta l’oggetto come argomento di comunicazione e questo è un primo fenomeno sociale.
Il bambino attira l’attenzione della mamma nell’osservare l’aquilone che vola nel cielo.
E’ questa anche la fase in cui la mamma passa le sensazioni al bambino:
per esempio se la mamma ha paura dei cani, la sua ansia può ingenerare nel bambino una risposta di “difesa”, quindi, in presenza di un cane, il piccolo potrebbe chiudersi dimostrandosi non propenso ad avvicinarsi o a farsi annusare.
Il meccanismo dell’attenzione condivisa è un precursore della comprensione reciproca, perciò, prima di dire “Mio figlio non mi capisce”, abbiate cura di stimolare il progresso delle sue capacità relazionali in base all’età.
Per portare un altro esempio, pensate a un bimbo al primo anno di scuola dell’infanzia, mentre giocherà con la cucinina finta vi offrirà un pollo di plastica, ebbene nella sua mente il bimbo sa già che il pollo di plastica non si mangia a differenza di quello vero. Nel coinvolgervi nel gioco, il bambino non vi “usa” per divertimento o compagnia, ma comunica con voi delle emozioni e condivide. Questo testimonia come il progresso dello sviluppo del pensiero si palesi anche attraverso l’immaginazione e il gioco immaginario di vostro figlio.
Maggiore sarà la vostra partecipazione alle tappe comunicative del bambino più vostro figlio vi capirà e voi capirete lui.