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Burqa e niqab: legge e religione

di Mamma Simona

17 Settembre 2010

E’ di qualche giorno fa la notizia dell’approvazione in Francia del disegno legge riguardante il divieto di indossare in luoghi pubblici burqa e niqab, il velo islamico integrale. E’ prevista una pena pecuniaria pari a euro 150 per la donna che non osservi la legge e 30.000 euro più detenzione carceraria pari a un anno per coloro che impongano alla donna l’uso del velo integrale.
In Francia la comunità islamica si aggira attorno ai 5-6 milioni e solo 2.000 donne circa ne fanno uso.
Il consiglio del culto mussulmano in Francia si oppone alla legge approvata, mentre altri stati UE, in primis il Belgio, si stanno apprestando ad introdurre normative simili nel loro ordinamento.

In Italia, nonostante un clima di maretta tra le forze di governo, sembra esista un’intesa con lo scopo di adottare un provvedimento simile a quello francese.
In realtà nel nostro ordinamento esiste già una legge, la 152 del 22 maggio del 1975, Disposizioni in materia di ordine pubblico, emanata in un periodo “caldo” della nostra politica; impediva l’uso dei caschi protettivi nei luoghi pubblici, che rendevano impossibile il riconoscimento della persona.
Attualmente l’onorevole Souad Sbai, deputato con doppia cittadinanza italiana e marocchina, ha chiesto che la legge venga integrata estendendo il divieto anche al burqa e al niqab.
Esistono due buoni motivi per accogliere la proposta: rendere riconoscibile l’individuo; sotto un burqa potrebbero celarsi personaggi ricercati, terroristi, che diventerebbero intoccabili e renderebbero il già tanto difficoltoso operato delle forze pubbliche ancora più pericoloso di quanto già non sia; restituire alla donna il diritto di riappropriarsi della propria identità, o come è stato da altri detto, la propria dignità, che la donna ha dovuto celare dentro una prigione di tessuto, obbligata dall’estremismo religioso.

Rispettare l’individuo, la propria cultura, lingua, tradizione è fondamentale in una società multietnica come la nostra, ma quando si vanno a ledere dei diritti inalienabili come quelli relativi alla dignità umana, al diritto di scelta, alla democrazia, beh, allora deve esistere uno stop dettato dal riconoscimento di questi diritti universali.
La libertà di professare una religione, il diritto di perpetuare una cultura, finisce laddove venga meno la libertà dell’individuo.
L’obiettivo di integrazione, tanto auspicato in una società multiraziale, deve passare attraverso un processo di affermazioni di diritti come libertà personale, rispetto.
Il rischio nel quale si incorre, è che per paura di essere tacciati di razzismo, alcune persone, anche ai vertici politici, sono disposti ad accantonare, a fare eccezioni in virtù di una tutela della minoranza, quei diritti universali, conquistati dai nostri avi con lotte, sacrifici e anche sangue.
Questo non è giusto.
Integrazione non significa abnegazione. Rispetto non significa abbandono dei principi che ispirano la nostra Costituzione, le leggi del nostro Stato.

Tra l’altro, il velo integrale, non rientra nemmeno tra i precetti del Corano, ma è una pratica recente, che prende piede a fine anni ’70 per iniziativa dei Talebani. E dunque il discorso di tolleranza religiosa col burqa c’entra poco…proprio come sostengono molti eccellenti mussulmani come Samina Chabib, Presidente di Saadia Associazione donne marocchine; Mustapha Mansouri, Segretario Nazionale delle Confederazioni delle Comunità Marocchine in Italia; Abdellah Mechnoune, Imam della moschea di Torino nonché Ambasciatore della Pace per l’ONU; Saber Mounia, Presidente dell’Associazione in Italia dei Minori stranieri non accompagnati; e Pina Nuzzo, Responsabile Nazionale dell’Unione Donne in Italia, che concordano nell’approvazione del disegno legge Sbai.
Speriamo che in futuro le società possano collaborare per abbattere tutti i principi anacronistici che sminuiscono la dignità personale.

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