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Aborto: il dolore di una mamma accarezzata dal suo angelo custode (foto Monumento al bambino mai nato)

di Maria Corbisiero

23 Novembre 2021

Ma io ti perdono, mamma. Non tornare al nulla con me. Nascerò un’altra volta.

 

Tratte dal libro “Lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci, pubblicato nel 1975, queste parole sembrano descrivere in modo quasi perfetto il bisogno di misericordia di un genitore che non ha mai potuto abbracciare il suo bambino, quella struggente mancanza raccontata dallo scultore slovacco Martin Hudáček attraverso la sua opera “The Child Who Was Never Born”, ossia il monumento al bambino mai nato.
Il Memorial for Unborn Children di Hudáček, un memoriale dedicato ai tutti i bambini non nati, è difatti la raffigurazione del dolore e del perdono, della condanna e della remissione, due facce di quell’unica medaglia chiamata aborto.

 

Memorial for Unborn Children di Martin Hudáček, monumento al bambino mai nato

Mamma piange per la bambina mai nata.
Foto diritto d’autore: antonioguillem© 123RF.com – ID Immagine: 79874106 con licenza d’uso.


 

Monumento al bambino mai nato: Memorial for Unborn Children di Martin Hudáček.

La perdita di un figlio mai nato è un dolore difficile da poter descrivere o raccontare, e per molti rappresenta ancora un fortissimo tabù; è una sofferenza vissuta nel più assordante dei silenzi, un vuoto che niente e nessuno riusciranno a colmare, una ferita aperta sempre pronta a sanguinare.
A loro modo, la Fallaci e Hudáček hanno cercato di raccontare la sofferenza dell’aborto, sia essa dovuta ad un’interruzione volontaria o terapeutica di gravidanza o ad un aborto spontaneo, come di una maternità mutilata che accompagna il genitore per tutto il resto della sua esistenza.

Non voglio entrare nel merito del dibattito etico e morale che da sempre interessa la legge n° 194 del 22 maggio 1978, lo scopo di questo scritto è parlare di cosa avviene dopo, del dolore dei genitori schiacciati e sopraffatti dalla sofferenza, come dimostra il monumento al bambino mai nato.

Martin Hudáček è un giovane scultore diplomatosi nel 2012 all’Accademia delle Arti di Banská Bystrica, in Slovacchia, la sua tesi di laurea fu proprio il Memorial for Unborn Children di Martin, un’opera la cui tematica è apparsa sin da subito controversa eppure, una volta ultimata, è stata accolta di buon grado dall’intera comunità.

 

Come racconta lo stesso artista nel video posto in calce a questo scritto, nel 2010 un amico gli suggerì di valutare l’idea di realizzare un monumento al bambino mai nato in quanto la loro città non ne aveva mai avuto uno. Lo scultore accolse il consiglio consapevole che tanti genitori, troppi, necessitano di un luogo di culto ove poter piangere i loro figli perduti in un’epoca gestazionale eccessivamente prematura per avere degna sepoltura.
Il risultato finale è un’incredibile opera dal forte impatto emotivo, in grado di trasmettere tutta l’angoscia provata dal quel genitore e il senso della tragedia interiore che, per scelta, costrizione o casualità della vita, si ritrova a dover affrontare.

 

 

The Child Who Was Never Born di Martin Hudáček: monumento al bambino mai nato.

Dopo 10 mesi di lavoro, la statua “The Child Who Was Never Born”, ovvero il monumento al bambino mai nato, è stata inaugurata il 28 ottobre del 2011 a Bardejovska Nova Ves, quartiere di Bardejov, in Slovacchia. L’opera celebra l’amore, la misericordia e la riconciliazione, sentimenti che sembrano andare al di là delle contingenze umane, resi in modo stupendo dal semplice gesto del bimbo che accarezza la testa della madre in lacrime.
Per la realizzazione del memoriale, Hudáček ha utilizzato due materiali diversi:

  • Pietra artificiale: per riuscire a dare alla mamma una concretezza terrena, rappresentata dalla pesantezza della pietra, l’artista ha mescolato resina sintetica e sabbia naturale ottenendo così una finta pietra;
  • Poliestere: con questo materiale è stato in grado di donare al bambino una trasparenza eterea, celestiale, che lo rende incorporeo ed effimero, delineandone la spiritualità.

 

Come detto in precedenza, il monumento al bambino mai nato raffigura due sentimenti all’apparenza contrastanti ma in sostanza complementari.
Da un lato vi è la madre sopraffatta dal proprio dolore, è accasciata a terra, schiacciata dalla sua stessa sofferenza e versa fiumi di lacrime mentre con una mano stringe il petto come a voler tenere insieme i pezzi del suo cuore ridotto in frantumi. L’immagine di quella donna rievoca lo strazio di una decisione, volontaria o no, che dilania l’animo e strugge corpo e mente, destinando la stessa ad una continua e logorante sofferenza.

 

 

Di fronte a lei c’è il bambino, quel piccolo angelo che la mamma non potrà mai stringere tra le sue braccia, un’incorporea essenza che rappresenta il perdono dato attraverso quella delicata carezza, timida e al tempo stesso così decisa, un gesto quasi impercettibile che racchiude la grande forza dell’amore incondizionato.

 

Con la realizzazione del monumento al bambino mai nato e del “The Memorial of Unborn Children II” (seconda opera dello scultore polacco dedicata al dolore dell’aborto vissuto sia dalla madre che dal padre – vedi foto successiva), Martin Hudáček è stato in grado di “dare vita” a quella dimensione spirituale nella quale ogni genitore può ricongiungersi al figlio non nato, un luogo in cui le mamme e i papà possano sentirsi meno soli e, perché no, trovare la forza di perdonarsi ed andare avanti, pur non dimenticando quella piccola vita.

 

 

Entrambe le statue sono inoltre un invito a chi, spettatore di tale immane sofferenza, volge altrove il proprio sguardo o, peggio ancora, punta il suo dito accusatorio contro quei genitori dall’animo irrimediabilmente dilaniato, isolandoli e lasciandoli sprofondare in un oscuro baratro.
Con le sue opere lo scultore polacco ha voluto rappresentare appieno quello straziante dolore e manifestare la propria vicinanza a coloro che, qualunque sia il motivo, hanno dovuto compiere un passo così delicato.

Il monumento al bambino mai nato vuol essere una dimostrazione di vicinanza al dolore di quei genitori che non possono e non devono essere lasciati soli.

 


 

Articolo originale pubblicato il 3 Ottobre 2013



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