I bambini sono fatti di “carne e sentimenti”, così come non sanno ancora bene gestire il loro corpo nel mondo (pain piano imparano a camminare restando saldi sui loro piedini), allo stesso modo i cuccioli d’uomo hanno bisogno di crescere per imparare la gestione delle paure, delle ansi e delle angosce.
Noi adulti sulla nostra pelle di persone (fatte di cuore, emozioni, paure, desideri poche volte avverati e spesso disattesi) abbiamo appreso dalla vita che la gestione delle paure e delle emozioni è spesso assai ardua. Pertanto, sebbene a volte sottovalutiamo l’aspetto emotivo ed emozionale dei bambini, sappiamo perfettamente che i piccoli sono fatti di delicati e fragili equilibri sentimentali.
Non ferire i sentimenti del proprio bambino lo aiuta certamente a crescere senza paure, pur conoscendo i propri limiti e il dolore che le emozioni possono ingenerare.
Il cucciolo d’uomo ha il diritto di arrivare serenamente alla gestione delle paure, delle ansie e dei tormenti del vivere quotidiano. Può fare tutto ciò solo se guidato da un adulto consapevole e votato all’educazione dolce, dialogante e non traumatica.
La gestione delle paure è una pratica che pretende la coordinazione di due diversi stati emozionali: le emozioni del cuore debbono coordinarsi con le reazioni della mente. Ciò implica che cuore e cervello debbano trovare un punto di equilibrio, “un centro di gravità permanente” (permettetemi una citazione che rende l’idea di quanto sia difficile, per grandi e piccini, gestire le proprie paure).
Nella gestione delle paure i grandi sono soli, i piccoli, al contrario, dovrebbero poter contare sempre su una figura di riferimento: l’adulto (sia esso mamma, papà, insegnante, nonno, nonna o allenatore, eccetera)
L’adulto ha il compito di non mettere il bambino dinanzi ad emozioni ingestibili e quindi capaci di ingenerare profondi stati di frustrazione e ansia. Una cattiva comunicazione verbale è la principale causa di emozioni negative ed insopportabili per il bambino. Sentendosi rifiutato, inadeguato, incapace, incompreso il piccolo può chiudersi in se stesso, diventare apatico, assumere un atteggiamento di difesa che nei fatti diviene “di isolamento”. E peggio ancora, il cucciolo d’uomo frustrato può reagire aggredendo nel tentativo estremo di imporre se stesso all’attenzione del mondo.
Gestione delle paure nel bambino – ecco le frasi che un adulto non dovrebbe dire mai dinnanzi ad un cucciolo d’uomo perché certe parole non solo feriscono, ma ingenerano stati d’animo che i bambini non sono in grado di gestire adeguatamente.
- “Se continui così ti lascio da solo” oppure “Se continui così ti metto in collegio”;
- “Adesso apro la porta e me ne vado” oppure “Verra il giorno che non torno più a casa”;
– questi due gruppi di frasi esprimono, in maniera diversa ma ugualmente incisiva, un bisogno di distacco che l’adulto sembra ricercare per allontanarsi da bambino. Spesso vengono pronunciate per collera, pur avendo sull’adulto un reale potere catartico (canalizzano la rabbia, lo stress e la frustrazione), tuttavia si scagliano sul bambino come una ingiusta punizione a cui il piccolo non si può in nessun modo opporre rimanendo indifeso.
- “Se continui così ti lascio da solo” oppure “Se continui così ti metto in collegio”
– sono frasi che vengono percepite dal bambino come un rifiuto e suonano come una minaccia di abbandono, il bambino le traduce nel desiderio dell’adulto di “allontanare” il piccolo dalla propria vita;
- “Adesso apro la porta e me ne vado” oppure “Verra il giorno che non torno più a casa”
– rappresentano “richieste di libertà” che l’adulto impone al bambino attribuendo al piccolo la responsabilità delle proprie ansia, del proprio stress e delle proprie frustrazioni personali. Il bambino traduce queste frasi-minaccia in angosce profonde e, confidando nella serietà dell’adulto, potrebbe incominciare a vivere con estrema paura ogni distacco dal genitore (laddove la paura sarebbe, appunto, alimentata dall’angoscia di non vederlo tornare mai più).
Oltretutto l’adulto trascura un dato fondamentale: la credibilità che la figura di riferimento del bambino dovrebbe sempre avere e non dovrebbe perdere mai. Siccome il genitore non pianterà mai il bambino in asso per strada né lo manderà in collegio, men che meno aprirà l’uscio di casa e andrà via nel bel mezzo di una discussione e neanche sparirà dopo aver detto “vado a comperare il latte”, è ovvio che la reiterazione di queste frasi a lungo andare può ingenerare nel bambino una profonda sfiducia verso l’adulto. Nel processo di gestione delle paure, il bambino che non si fida dell’adulto tenderà a cavarsela da solo manifestando insofferenza quando il genitore voglia dare consigli, parerei o aiuti.
- Mai dire al bambino: “Non capisci niente” oppure: “Non mi capirai mai” o anche: “Non capirai mai i sacrifici che faccio per te”.
Queste frasi contrappongono il bambino all’adulto facendo sentire il primo inutile causa dei sacrifici e delle pene del secondo, ovvero del grande, di colui che in maniera matura e consapevole ha scelto la genitorialità.
Il bambino che si sente dire “Non capisci o non capirai, né ora né mai” avverte lo sdegno dell’adulto, percepisce di non essere considerato abbastanza capace, intelligente, attento o sensibile. In sintesi ed in poche e semplici parole si può dire che il bambino trattato così non si sente all’altezza del suo ruolo di figlio.
La verità è una soltanto: i bambini non possono capire né mai capiranno le cose degli adulti se queste non gli vengono spiegate con una sintesi adatta, ovvero se non gli vengono esposte con un linguaggio chiaro ed esemplificato, pienamente fruibile per il bambino.
- “Non ti sopporto più” è la frase con cui l’adulto vorrebbe mettere a tacere il bambino o pigiare il tasto off quando il pianto o i capricci sono divenuti insostenibili.
Ebbene, il bimbo che insite vuole divenire insopportabile! Ma non agisce con l’intento di ingenerare un fastidio, una disapprovazione o un rifiuto, piuttosto vive il suo sfogo e lo fa per cercare, a suo modo, la ragione del proprio dolore e un conforto.
Solo il dialogo, la spiegazione pacata e razionale di ciò che sta avvenendo e che è avvenuto può effettivamente mettere fine a una lite tra genitore e figlio.
- Le farsi perentorie come “Non ti sopporto più” o “Se ti comporti così non sei mio figlio” oppure “Come ho potuto fare un figlio così” non hanno valore risolutivo e non orientano mai il comportamento del bambino, al contrario inducono solamente il piccolo a chiudersi nella propria sofferenza amplificata dal rifiuto del genitore.