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Donne vittime di femminicidio

di Carla Gozzer

08 Marzo 2018

Perché una definizione nuova per indicare la violenza: donne vittime di femminicidio

 

Con la parola femminicidio non si indica solo “l’uccisione di una donna o di una ragazza”, ma anche “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”. (Devoto –Oli, 2009)

 

Ma perché si è sentito il bisogno di coniare un nuovo vocabolo per indicare questi atti di violenza verso il genere femminile e non sono stati usati i molti termini già presenti nella lingua italiana?

donne vittime di femminicidio

Donne vittime di femminicidio – cosa significa

 

La parola viene dall’inglese “feminicide”, cioè “omicidio della femmina”. Femmina, non donna o ragazza: femmina come il genere femminile degli animali. Ed è questo che si vuole sottolineare con questo vocabolo:

 

un delitto protratto ai danni di una persona “in quanto femmina”, cioè verso qualcuno che non ha neanche il diritto di essere chiamato donna.

 

Femmina, un termine usato in senso dispregiativo per indicare subordinazione e inferiorità. Le donne vittime di femminicidio non sono solo vittime di un delitto, sono vittime di una società e di istituzioni che non ne riconoscono ancora il valore umano e che non sono in grado di tutelarne l’esistenza.

 

E il problema è più vicino di quello che si possa pensare. Quante di noi in gravidanza, dopo aver detto che si era in attesa di una principessa, si sono sentite rispondere “l’importante è che stia bene!”. Viene detto soprattuto a quelle donne che secondo l’ignoranza popolare hanno mancato di avere un maschio, ovvero hanno mancato di dare continuità alla discendenza maschile (senza contare che la determinazione del fiocco di nascita dipende biologicamente dall’uomo). Un tristissimo retaggio di una mentalità che fa fatica a cambiare.

 

Le donne vittime di femminicidio nella storia

La convinzione che la donna sia inferiore, e che quindi un uomo ne possa disporre a proprio piacimento, è documentata anche nel passato.

 

  • Tito Livio narra di Lucrezia, vissuta nell’antica Roma ai tempi dei re, che venne stuprata e per non vivere nel disonore si suicidò.
  • Nelle metamorfosi, Ovidio racconta della sventurata Dafne che per sfuggire al dio Apollo si fece trasformare in una pianta di alloro. Potrebbe essere considerato uno dei primi casi di stalking.
  • Nella Bibbia stessa è riportata la possibilità del marito di ripudiare la propria moglie e trovarne un’altra, mentre per le donne colpevoli di adulterio era prevista la lapidazione.
  • La stessa Giovanna d’Arco è stata arsa viva perché non si comportò da donna nel senso stretto della tradizione.

 

Anche nelle fiabe il ruolo della donna è spesso subordinato:

  • la bella addormentata nel bosco aspetta paziente un principe che la salvi;
  • Raperonzolo dall’alto della sua torre ugualmente non è stata attiva protagonista del suo destino;
  • il più cruento Barbablù ha ucciso e conservato le mogli che non gli sono state ubbidienti.

 

La letteratura è piena di donne vittime di femminicidio:

  • la Desdemona shakespeariana soffocata dal marito Otello per gelosia;
  • Pia dei Tolomei, assassinata dal marito e vagante per il purgatorio dantesco;
  • o basta leggere i romanzi del marchese De Sade per capirne chi è il soggetto protagonista: l’uomo, e chi è l’oggetto: la donna che sottomessa e posseduta merita ogni possibile oltraggio.

 

E ancora tutte le donne vittime di femminicidio ad opera dei soldati, dei briganti, di signorotti di ceti sociali più alti che si sono sentiti legittimati ad usufruirne a proprio piacimento.

 

Le donne vittime di femminicidio sono mamme e nonne

 

Se dalla storia bisogna imparare, forse allora è il caso di leggerla in maniera più critica. Questa errata concezione di proprietà e superiorità è alla base di molte storie non più riportate da romanzi o miti ma rintracciabili sulle pagine della più nera cronaca quotidiana.

 

Le donne vittime di femminicidio sono nonne uccise dai propri nipoti o dai propri figli per pochi euro, come Antonietta uccisa a bastonate o Maria che invece è stata accoltellata.

 

Oppure sono “morte per sbaglio” come nonna Antonella e la nipotina Rebecca che erano in vacanza quando un uomo decise di incendiare la casa della sua ex compagna e loro vicina, intrappolandole nella fiamme e bruciandole vive.

 

Sono mamme uccise dai loro compagni o ex con cui avevano deciso di condividere parte della loro vita, come Antonietta, a cui il marito le ha sparato riducendola in fin di vita nella tristemente nota strage di Latina; Melania Rea lasciata sola, morta, uccisa e abbandonata da un marito che già la tradiva, e tutto è accaduto mentre la piccola Vittoria dormiva in auto, a pochi passi dall’orrore; Alessandra la cui testa è stata sbattuta sul pavimento fino alla morte; Giordana, che è stata accoltellata nella sua macchina senza fare in tempo a recarsi in udienza dopo la denuncia per stalking; Alessia morta a 29 anni per 30 coltellate. E anche Laura, arsa viva, il cui femminicidio è stato scoperto solo grazie al racconto del figlio alla nonna.

 

Le donne vittime di femminicidio che non potranno mai diventare adulte

 

Donne vittime di femminicidio sono ragazze che sognavano una vita migliore che non avranno mai, come Erika, investita dal compagno, Victory che di anni ne aveva 23 quando è stata uccisa e poi bruciata, o Caterina uccisa dal marito con una statuetta. E Jennifer, oppure Alessandra che a 24 è stata trascinata dalla macchina del fidanzato. E Sanaa, uccisa dal padre perchè amava un italiano, come Hina uccisa dalla famiglia perché non era una brava religiosa.

 

Le donne vittime di femminicidio sono bambine vittime innocenti di liti tra i genitori, come Alessia e Martina, come Cristiana, morta per aver tentato di difendere il fratello. Come Yara, come Sara strangolata e il cui corpo dato alle fiamme. Una lista di nomi lunghissima.

 

Sono donne vittime di femminicidio le bambine di caste inferiori in India, violentate, uccise e i loro corpi abbandonati nel nulla, come a significare che loro non sono mai state nulla se non un giocattolo nelle mani di uomini che non ne hanno mai riconosciuto l’identità come persona.

 

Come lo sono le bambine costrette a farsi allungare il collo per evitare qualsiasi tentazione di tradimento o che subiscono violenze e mutilazioni a causa della tradizione. O le spose bambine, che non hanno nessuna possibilità di opporsi a matrimoni combinati per il profitto di chi dovrebbe proteggerle ed amarle. O le ragazze che muoiono in umide capanne perché allontanate dal focolare nei giorni del ciclo perché considerate impure. Tutte vittime di una mentalità che non riconosce l’essere donna come un essere umano che va rispettato in quanto tale.

 

Non per tutte le donne vittime di femminicidio è troppo tardi

 

Nella definizione di femminicidio rientrano inoltre tutte quelle violenze atte a sottomettere e ad annullare un essere umano di sesso femminile, che non devono portare per forza alla morte.

 

Le donne vittime di femminicidio non sono solo quelle per cui purtroppo è troppo tardi per agire. Le vittime di femminicidio sono ragazze, bambine, donne, mamme, vicine di casa che vivono un incubo da cui non riescono ad uscire.

 

Sono un numero di casi imprecisato e sicuramente maggiore di quello registrato attraverso atti pubblici o sulla cronaca. L’omertà, il resistere di una mentalità che rende il maschio padrone e onnipotente e la radicata consapevolezza che una femmina sia più debole e meno proprietaria della sua stessa vita rendono le violenze accettabili e meno denunciabili. Anche se sta aumentando la sensibilità a questo deficit della nostra cultura, spesso queste situazioni si riconoscono e vengono alla luce quando ormai per la vittima è troppo tardi.

 

Nella giornata dedicata alle donne è d’obbligo almeno un pensiero rivolto a tutte quelle donne, adulte o bambine, che subiscono ogni giorno denigrazioni e umiliazioni nel silenzio, nella solitudine e nell’errata convinzione che sia giusto così.



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