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L’ addio al figlio nato morto: il lutto perinatale della mamma

di Federica Federico

07 Dicembre 2018

Non c’è modo di descrivere la sensazione di far entrare tuo figlio in una borsa e mandarlo per la sua strada.

 

E’ con queste parole la mamma di Jacob, un piccolo angelo venuto al mondo alla 24esima settimana di gravidanza, descrive il suo addio al figlio nato morto.

 

In quel parto lungo e sofferto non c’è stata aspettativa, complicità, emozione (positivamente intesa): è stato un atto di dolore! La mamma, ricordandone la nascita, rivendica l’appartenenza di quel bambino che il corpo “ha spinto fuori” a 620 grammi di peso e già con gli occhi chiusi sul mondo.

addio al figlio nato morto

La mamma di Jacob pubblica su Facebook la foto del suo addio al figlio nato morto. Tutto questo ha un senso: è un bambino, è un lutto.

 

Questo è uno dei miei ricordi più vividi. E anche una fotografia che non condivido davvero molto. Ero esausta e mi sentivo vuota. –Così scrive la mamma.

 

Il vuoto è quella parte del lutto perinatale che il mondo non comprende, in cui nessuno si immedesima. Ricordiamo che si definisce morte perinatale (quindi lutto perinatale) la perdita di un figlio che avviene tra la 27a settimana di gravidanza e nell’arco dei 7 giorni dopo il parto.

 

Perchè la società stenta a riconoscere il dolore delle mamme costrette a dire addio al figlio nato morto o prematuramente morto poco dopo la nascita?

 

Per cultura siamo abituati a credere che l’assenza debba essere preceduta da una presenza fisica, dalla condivisione di un tempo e di esperienze comuni, da un’esistenza che nel caso del lutto perinatale viene negata dai più. Così non è! Le mamme hanno vissuto un’esistenza affettiva con i loro figli nelle settimane, nei mesi e nei singoli istanti della gestazione. Le donne che perdono un figlio alla nascita, in utero o nell’imminenza del parto, sono tutte mamme in lutto e non conta il fatto che sia mancata loro un’appartenenza così come la gente comune la intende (ovvero fisica, di conoscenza, tangibile o prolungata).

 

E’ sul riconoscimento del “vuoto”, lo stesso descritto dalla mamma di Jacob, che fonda la legittima considerazione del lutto delle mamme degli angeli mai nati o morti poco dopo la nascita.

 

20 minuti dopo che abbiamo chiuso la sua borsa, ed è stato portato via dalle nostre cure… abbiamo camminato quello che sembrava lil percorso più lungo e più silenzioso che avremmo mai fatto.

– Continua la donna descrivendo l’ addio al figlio nato morto – Mentre percorrevamo i corridoi dell’ospedale, avevamo tre ostetriche che ci abbracciano con le lacrime agli occhi. Abbiamo camminato fino alla macchina, io restavo aggrappata all’orso di Jacob, non avevamo assolutamente idea di dove andare o cosa fare.

 

L’impreparazione, l’aspetto imprevedibilmente atroce del lutto perinatale.

 

Non ero pronta. Stavo per dire agli altri miei figli che il loro fratello era morto. E non avevo assolutamente idea di come sarei riuscita a trovare le parole. Abbiamo comprato un po ‘ di cibo poi siamo andati a casa… ci siamo seduti sul divano a fissare la TV. In realtà non abbiamo guardato niente e non abbiamo mai mangiato quel cibo.

 

“Non ero pronta”, è con questa affermazione negativa e immediata che la mamma di Jacob sintetizza un sentimento comune a tutte le madri degli angeli: l’impreparazione. Nessuno prepara una madre al dolore, nessuno può prepararla perché nella scoperta della gravidanza e nella sua evoluzione la gioia prevale come istinto e deve prevalere come benzina per i motori del cuore e del corpo.

 

Mi spiego meglio: anche quando ci sono dei problemi, quindi dei pericoli che teoricamente potrebbero minare il buon esito della gestazione, è fondamentale che la donna incinta sia alimentata dalla gioia e dalla positività. Questa esigenza sostiene la buona risposta fisico-emotiva della mamma, anche la buona risposta ad eventuali cure.

 

Tutto ciò spiega l’impreparazione: la preparazione al peggio non può essere contemplata nel cuore di una mamma. Spesso il peggio è una circostanza che viene comunicata quando è troppo tardi per preparare la donna, quando già è “accadimento grigio”. E ciò, se possibile, aggrava il lutto.

 

Da quel giorno […] abbiamo dovuto imparare a vivere di nuovo. Ci siamo costretti a mangiare. Ci siamo forzati a vestirci, lavarci i capelli, guidare per portare i bambini a scuola. Mi sembrava di fare di nuovo tutto per la prima volta. Quell’altra donna, che una volta era qui, era morta. Questa è la nuova me e vivo per far fronte alla mia famiglia.

 

Le mamme costrette a dire addio al figlio nato morto o volato in cielo poco dopo il parto soffrono un distacco profondo e traumatico:

 

vivono in un corpo che non è stato culla per il tempo dovuto e nel modo “giusto”; avvertono nel ventre ancora quell’assenza e mentre il tempo passa ricordano a se stesse che quei giorni dovevano essere diversi; piangono l’attesa di una nascita che non è arrivata; sono condannate ad immaginare un bambino che non vedranno mai crescere e perciò parlano con gli angeli.

 

Queste donne meritano un profondo rispetto perché, in una estrema sintesi, passano la vita condividendo l’esistenza con la morte che portano nel cuore.

 

E’ l’incompiuto il vero tormento delle mamme degli angeli: il sorriso mai visto, il compleanno mai arrivato, le parole mai dette, le carezze non date … e tanto altro “mancato”.

 

Ho passato un periodo di tempo, all’inizio, chiedendo a me stessa quando questo avrebbe iniziato a far male di meno … la risposta a quella domanda è mai. Il tempo non può guarire le ferite di un genitore in lutto. Non farà mai meno male. Ma tu diventerai più forte e imparerai come gestire meglio quel dolore.

 

Un passo alla volta.”

 

Raccontando se stessa, la mamma di Jacob riesce a liberare un’emozione che potrebbe valere come monito per tutte le persone che si trovano vicine ad una donna costretta a dire addio al figlio nato morto: quella mamma in lutto ha bisogno di rinascere dalle sue ceneri e il lutto che ha subito non va negato perché senza la sua considerazione, senza quelle ceneri, non può esserci futuro.

 

Per l’elaborazione del lutto materno, parte della psicologia contemporanea afferma sentitamente l’importanza di raccogliere memorie del figlio: foto, impronte delle mani e dei piedi, video.

Anche se in quel momento la risposta più facile da dare alle ostetriche è: “Provvedete voi“, curare il bambino, benchè non fisicamente attivo, perfetto e “corrispondente alle aspettative”, ha un senso catartico che nell’elaborazione del lutto sarà di grandissimo aiuto. Altrettanto fondamentale è avere un posto dove piangere il proprio figlio.



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